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L’Antartide si scioglie più in fretta delle peggiori previsioni

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Una nuova campagna di rilevazioni alimenta uno studio allarmante, che denuncia come i più importanti ghiacciai dell’Antartide stiano sciogliendosi a velocità inattesa e preoccupante.

I NUOVI DATI – I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Nature Geoscience, i rilevamenti e gli studi sono stati condotti da una squadra di scienziati statunitensi, britannici, francesi e australiani, che si sono avvalsi di strumenti all’avanguardia per condurre diverse misurazioni del ghiaccio antartico, misure gravitazionali, radar e rilevamento laser dell’altimetria.

SEI METRI IN PIÙ – Quello che hanno scoperto è che due massicci ghiacciai dell’Antartide, uno a Est e uno a Ovest, si stanno sciogliendo a una velocità superiore alle attese e che ciascuno continue abbastanza acqua da far aumentare il livello dei mari di 3 metri, oltre sei tra tutti e due. Ora gli scienziati hanno scoperto che al di sotto di questi ghiacciai si stanno insinuando le acque calde dell’Oceano, che hanno aperto al di sotto della superficie marina veri e propri canyon nel ghiaccio. Aperture attraverso le quali l’acqua (più) calda dell’oceano sta sciogliendo il ghiaccio al riparo della vista a una velocità inattesa e finora imprevista.

Fonte: Nature Geoscience

Fonte: Nature Geoscience

LA NUOVA MINACCIA – Del ghiacciaio a Est si sapeva, ora anche quello a Ovest, il Totten, appare interessato dallo stesso fenomeno, che qualora si completi avrebbe conseguenze enormi, soprattutto sull’emisfero Nord, perché sciogliendosi il ghiaccio determina anche una ridistribuzione del peso sulla superficie terrestre, cambiandone anche l’assetto gravitazionale. All’aumento medio dovuto allo scioglimento dei ghiacci quindi s’aggiungerebbe quello derivante dal mancato effetto attrattivo della massa di ghiaccio, il che si risolverebbe in un aumento di circa il 25% dell’innalzamento della acque nell’emisfero Nord. Sciogliendosi, la coltre di ghiaccio che ricopre il Polo Sud, raggiungendo in alcuni punti i 500 metri, contribuisce all’innalzamento della acque molto di più dell’analogo fenomeno al Polo Nord, perché il ghiaccio al Sud è appoggiato sul continente e non galleggia sul mare come al Nord, dove sciogliendosi non andrebbe ad influire pesantemente sul livello delle acque.

fonte: giornalettismo.com

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Ahmed Osman

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Ahmed Osman è nato a Il Cairo Egitto nel 1934. Ha studiato legge all’Università del Cairo e ha lavorato come giornalista nel 1960. Nel tentativo di trovare le radici storiche che stanno dietro il continuo conflitto politico tra Egitto e Israele, ha lasciato il suo paese per Londra alla fine del 1964. Da allora è stato alla ricerca del collegamento tra le storie della Bibbia e le testimonianze storiche scoperte dalla archeologi durante gli ultimi cento anni. Il suo primo successo è stato l’indentificazione di una grande figura biblica, Giuseppe il Patriarca , nella persone di come Yuya il ministro e il padre di Amenhotep III (c. 1405-1367 aC).

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Questa identificazione è diventato il soggetto del suo primo libro, Stranger In The Valley Of The Kings (1987). Nel suo secondo libro Mosè: Faraone d’Egitto (1990), il suo sforzo è stato quello di chiarire la data di Esodo israelita dall’Egitto, mentre nel suo terzo libro La Casa del Messia (1992) ha tentato di stabilire l’identità di Re Davide grande antenato di Gesù Cristo.

Il libro di Ahmed “Mosè e Akhenaten” è la base per il film di John Haymen “Mosè e Nefertiti”, che sarà girato in Egitto è all’inizio del 2006.

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Zahi Hawass a Cortona. Al grande archeologo egiziano il Premio Cortonantiquaria 2015

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E’ stato un enorme successo la visita del grande archeologo egiziano Zahi Hawass a Cortona per rendere omaggio al museo Maec e alla città.
Nei due giorni Hawass ha visitato il Museo, vissuto e conosciuto il Centro Storico e assieme al Sindaco Francesca Basanieri ha posto le basi di una collaborazione che ha potenzialità straordinarie.

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Grazie alla collaborazione dell’Associazione Atrapos, al sostegno della Banca Popolare di Cortona, della Regione Toscana e della Soprintendenza Archeologica per la Toscana, il Comune di Cortona, l’Accademia Etrusca ed il MAEC hanno realizzato quello che può essere definito un evento epocale per Cortona.
La visita di un’autorità culturale riconosciuta e stimata in tutto il mondo quale è Zahi Hawass ha dato ha Cortona la possibilità di mettere in cantiere iniziative di altissimo valore.

Il percorso iniziato 10 anni or sono dal MAEC e che ha visto la collaborazione con istituzioni internazionali quali l’Ermitage, il Louvre ed il British Museum trova oggi nuova linfa con la collaborazione con Zhai Hawass.

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In considerazione anche dell’entusiasmo con il quale il prof. Hawass ha vissuto questa due giorni cortonese e del feeling incontrato con la città ed il MAEC, il Sindaco Francesca Basanieri ha proposto di insignire lo stesso Hawass con il Premio Cortonantiquaria 2015, ed il grande archeologo ha accettato con emozione e gratitudine.

Zhai-Hawass3Quindi, Zahi Hawass, sarà di nuovo a Cortona tra agosto e settembre in concomitanza con la 53ma edizione della mostra Cortonantiquaria per ritirare il premio. L’Amministrazione Comunale sta già lavorando per questo appuntamento che riserverà sorprese a dir poco clamorose che renderanno il ritorno di Hawass unico e porranno le basi per nuovi e più impegnativi progetti.
Zahi Hawass, quindi, va ad arricchire un palmares del Premio di straordinario spessore che ha visto negli anni Mario Monicelli, Inge Feltrinelli, Jannis Kounellis, Giovanni Floris, Tonino Lamborghini, Ferruccio Ferragamo, Andrè Rieu, Philippe Daverio, Nicola Arigliano, Giulio Stanganini, Renato Balestra, Marchese Piero Antinori, Franco Migliacci.

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La Lectio Magistralis tenutasi presso l’Auditorium S.Agostino, gremito da oltre 400 persone, è stata un evento da ricordare con una esposizione strepitosa di Hawass che ha illustrato, come solo lui sa fare, le tante scoperte recenti fatte da lui in Egitto, i segreti dei grandi Faraoni, come Ramses II e Tutankhamon ed ha annunciato il probabile ritrovamento della tomba di Cleopatra e Antonio, che a sue dire sarà la scoperta più clamorosa del XXI secolo.

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Divorzio: storia di un padre separato

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L’intervista e racconto “Storia di una madre separata” di Eretica di qualche giorno fa è una realtà. Ma esiste pure un’altra verità. Perché spesso la verità è assai più ampia e crudele di quanto si possa immaginare.
Intervistiamo allora un padre separato, rientrante nella media tra le migliaia e migliaia di casi che coinvolgono anche l’universo maschile e l’altrettanto fondamentale (inteso come diritto inviolabile) diritto genitoriale, quello paterno. Infatti maternità e paternità hanno funzioni complementari diverse ma altrettanto fondamentali nella crescita di un individuo dallo stato larvale a quello di farfalla.

Come ti chiami? Paolo. Quanti anni hai? 43. Sei sposato? Sì e separato da circa un anno. Hai figli? Sì, 2, una splendida bimba di 9 anni e un bel maschietto vivace di 7. Dove vivi e dove vivono i tuoi figli? A Milano io, a Milano loro ma con la mamma, ma ora distanti.

Come mai ti sei separato? Per incompatibilità caratteriale, emersa negli ultimi anni ma esplosa dopo un episodio (lei ha letto alcuni messaggi equivoci che ho ricevuto da una donna). Litigi, incomunicabilità e Incompatibilità certo accentuate dalla grave crisi economica (sono stato in cassa integrazione per un lungo periodo).

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Vivete dunque in case diverse? Sì, necessariamente perché quando lei ha scoperto il messaggio equivoco, dopo avermi fatto una immensa scenata mi ha poi lanciato gli oggetti personali fuori dalla finestra ed ha immediatamente cambiato la serratura di casa. Pensi che non ho più recuperato un mio oggetto personale, tra cui qualche oggetto di valore, il computer e oggetti affettivi! Mi sono dovuto quindi trovare subito una casa alternativa. Dapprima ho alloggiato dai miei genitori ed ho dormito per qualche mese sul divano, poi dopo che lei si è rivolta al tribunale ed ha ottenuto l’omologa, ha avuto la collocazione dei figli (nonostante io avessi un bel rapporto con loro e li abbia seguito sin dalla nascita dedicandomi alla loro cura, insieme alla mamma) e l’assegnazione della casa per la quale paghiamo un mutuo ancora decennale (dieci anni li abbiamo già pagati) di € 800 al mese. Dopo l’omologa, non potendo più stare dai miei genitori (la casa non è sufficientemente confortevole e ampia per tutti) ho dovuto necessariamente affittare un piccolo alloggio in condivisione con un amico, per il quale pago ogni mese € 300, oltre alle utenze a metà.

E’ stata una separazione giudiziale o consensuale? Mia moglie ha iniziato con un ricorso giudiziale e mi sono dovuto adeguare alle sue pretese perché mi ha giurato che diversamente non mi avrebbe fatto vedere più i figli! Purtroppo ho un amico separato che non vede il figlio da oltre un anno perché lei si è trasferita da Milano in Sicilia e fa di tutto per non farglielo incontrare. Ed ho letto di tantissimi altri casi uguali. Ero dunque terrorizzato di perdere il rapporto con i figli o di dover subire l’intromissione dei Servizi Sociali in tale bel rapporto.

Quanto guadagni ora? Ho uno stipendio di circa € 1.500 netti al mese. Quanto versi per i figli? Il tribunale, come richiesto da lei, ha stabilito € 700 complessivi al mese oltre alle spese straordinarie al 50% ed ha confermato a mio carico la metà della rata di mutuo. Come già detto pago € 400 circa per il mutuo per la casa in cui vive lei con i figli. Dovendo pagare (da 6 mesi) anche € 300 al mese per l’affitto del mio alloggio condiviso, necessario per me per condurre una vita decente e soprattutto per incontrare i miei figli e poter dormire ogni tanto con loro, come può capire mi rimangono circa € 100 al mese per mantenermi in vita (cibo, trasporti etc.) e soddisfare le esigenze dei figli quando stanno con me.
Come fai a vivere con € 100 al mese? E’ ovviamente impossibile! dunque arrotondo facendo lavori in nero (imbiancatura, piccole riparazioni, dog sitter, lavapiatti la sera ed altro) perché mi sono indispensabili per mantenermi dignitosamente e garantire il minimo rapporto con i bimbi. Avevo qualche migliaia di euro di risparmi da parte ma li ho praticamente già esauriti.

Le condizioni della separazione per i figli quali sono? Ho dovuto accettare di vederli a week end alternati, nonostante viva io a 2 km da loro, di averli 3 settimane piene nelle vacanze estive, e alternativamente per le vacanze natalizie e pasquali! Mi chiedo dove sia l’affidamento condiviso in tutto ciò quando posso passare con loro solo 70 giorni all’anno su 365!

Com’è il rapporto con loro? Potrebbe essere migliore: quando li prendo (perché varie volte lei mi ha avvisato che erano ammalati o indisposti) son sempre rigidi, vestiti da straccioni e parlando con loro con calma ho la sensazione che – qualcuno in famiglia (la madre sta frequentando un altro uomo che spesso dorme nella “nostra” casa!), penso alla suocera in particolare ma alla stessa madre – parli sempre male di me!

E’ felice? Dopo un periodo devastante sto solo cercando di recuperare me stesso e di non finire alla Caritas.

 Marcello Adriano Mazzola

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/11/divorzio-storia-padre-separato/1328897/

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La sfida che ci lancia lo Stato Islamico

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Da tempo i jihadisti cercavano di ottenere un proprio paese, uno “Stato” islamista. Possedere gli strumenti e i privilegi di uno Stato è un atout formidabile. Nel corso dei decenni ci hanno provato in Sudan, Afghanistan, Yemen, nel Sahel eccetera per impossessarsi di uno Stato già esistente e farlo proprio.

In gergo jihadista si chiama la lotta contro il “nemico vicino”, cioè i regimi corrotti e filo-occidentali, considerati eretici. Sullo sfondo una polemica che divide ancora oggi il mondo dell’estremismo islamista.

Mentre al Qaeda proseguiva la sua guerra al “nemico lontano” – Usa, Occidente ma anche Russia eccetera – altri ritenevano (e ritengono) che sia meglio concentrarsi nel “dar el islam”, la terra dell’islam. I tentativi di impadronirsi di uno Stato erano però andati a vuoto. Al Qaeda sembrava aver ragione: spargere terrore restando nell’ombra, come con l’11 settembre. Tuttavia l’attentato alle Torri gemelle, pur con il suo enorme impatto mediatico, non ha mutato gli equilibri geopolitici. ‘La nostra strategia è quella giusta – ragionavano i fautori dell’attacco al nemico vicino – solo la tattica è sbagliata’.

Non conviene prendersela con uno Stato pre-esistente, difeso dalla comunità internazionale, ma concentrarsi su territori dalla scarsa coesione, con forti scontenti sociali e deboli relazioni col governo centrale. Nel mondo globalizzato tali zone sono numerose, anche nell’universo musulmano. Ora, con l’Is (Stato Islamico), tale Stato è stato creato: un pezzo di Siria e di Iraq, facendo saltare le frontiere tracciate dagli europei dopo la Prima guerra mondiale. Così, mentre Bin Laden è morto e i suoi successori braccati si nascondono, lo Stato islamico rinasce dalle ceneri dell’antico impero Ottomano, in Mesopotamia. Infatti al Baghdadi, leader dell’Is, si è autoproclamato califfo, uno dei titoli che aveva anche il Sultano di Istanbul.

È una mossa importante perché nell’immaginario musulmano rimanda ai primi secoli dell’Islam. Il “nuovo” Stato non è riconosciuto da nessuno ma i suoi sostenitori puntano alla legittimazione delle masse arabo-musulmane – sunniti stanchi dell’oppressione sciita – cui un’assidua propaganda fa luccicare il mito dell’epoca d’oro. Anche dopo la Grande guerra, con la fine degli ottomani, gli arabi avevano chiesto (senza ottenerlo) un regno. Si preferì il divide et impera creando Stati nazionali nuovi di zecca, come l’Iraq e la Siria.

Il mito dell’epoca d’oro è duro a morire nell’Islam. Da quando ha perso il potere temporale – in favore di turchi prima ed europei poi – il mondo arabo-musulmano non ha cessato di vagheggiare una forma di nostalgia per un passato remoto, quando il “vero” islam, egualitario ed incorrotto, regnava senza dissensi da Baghdad o Damasco. Si tratta di un mito senza basi reali: anche nei primi secoli ci furono lotte intestine, divisioni, corruzioni. Anzi fu in quell’epoca che si compì l’evento più grave per l’islam, la Fitna, il grande scisma tra sunniti e sciiti. Qui gioca anche una certa gelosia sunnita nei confronti degli sciiti che uno Stato ce l’hanno da sempre: l’Iran.

Gli Stati arabo-sunniti invece sono deboli, disegnati da estranei, divisi fra loro, in mano ad elite corrotte e prone allo straniero, incapaci di difendersi (vedi le sconfitte con Israele) e soprattutto insensibili ai bisogni della popolazione. Il nazionalismo arabo filo-occidentale non ha funzionato; meno ancora il socialismo panarabo proposto dal Cremlino ai tempi dell’Urss.

Cosa resta allora se non un califfato? L’Is scommette sul sentimento di umiliazione dei sunniti arabi e prospetta loro una soluzione etnico-religiosa. Così può giocare su due registri: usare un doppio discorso arabista e islamista assieme, all’occorrenza. Ci aveva provato anche Saddam verso la fine del suo dominio, quando da iperlaico aveva azzardato una rocambolesca conversione all’islam. Era troppo tardi, ma i successivi errori compiuti in Iraq e Siria hanno lasciato all’Is tutto lo spazio necessario. Certo un punto debole di al Baghdadi è proprio l’organizzazione dello Stato stesso: i suoi non paiono in grado di assicurare giustizia, lavoro e sicurezza ai “cittadini”.

L’amministrazione di uno Stato non si improvvisa e non basta stabilire tribunali religiosi sul territorio per soddisfare i bisogni di una popolazione che era tra le più laiche ed istruite del Medio Oriente, prima del decennio di embarghi e guerre. Ma il vero problema è il messaggio che l’idea stessa di “Stato islamico” veicola. È la rappresentazione che l’Is lancia a popolazioni stremate da guerre ripetute, umiliazioni, sconfitte e repressioni. A noi ciò sembra assurdo. A giusto titolo proviamo raccapriccio e orrore davanti alle immagini delle decapitazioni e delle altre assurde violenze. Ricordiamoci però che abbiamo avuto la stessa reazione davanti agli orrori delle guerre in ex Jugoslavia. Teniamo inoltre a mente che purtroppo tali pratiche oscene funzionano anche come appello e reclutamento di giovani, prima di tutto arabi e poi venuti da Occidente.

I messaggi dello Stato Islamico sono di due tipi: terrificanti verso di noi (Occidente e resto del mondo) per incutere paura e tenere a distanza; seducenti verso gli arabo-sunniti: ‘venite tutti qui, costruiamo il nostro Stato e saremo finalmente liberi!’, proclama il califfo. È a questo messaggio che dobbiamo rivolgere tutta la nostra attenzione; ad esso vanno trovate risposte convincenti. La storia è punteggiata da miti che rivivono artificialmente: si pensi alle nostalgie nazionaliste in Europa, ai secessionismi o alle guerre balcaniche combattute in nome di un passato remoto. C’è un tempo che non passa, una memoria malata davanti ad un presente troppo incerto, frustrante e insoddisfacente. Guardare indietro sembra un rifugio sicuro. D’altronde in questo nostro tempo fiorisce il vintage e il futuro appare come una minaccia. Spesso le dittature iniziano così, ne sappiamo qualcosa in Europa. E cominciano così anche le guerre: quelle contro un nemico “immaginario” e immaginato, costruito a tavolino.

Il nodo da affrontare dunque è la “narrazione” che l’Is ha elaborato negli anni e realizzato in questi mesi. La ritroviamo nei post di tanti giovani jihadisti che hanno scelto di andare a combattere partendo da moltissimi paesi: un misto di recriminazioni storico-immaginarie, vere frustrazioni, false identificazioni, distorsione di miti occidentali (come le grand soir della rivoluzione, che risolverà ogni cosa). Nel discorso che l’Is invia per internet viene ad esempio ritorto contro di noi tutto l’armamentario post-ideologico “no-global” e nichilista della “falsa democrazia delle banche”.

Se la democrazia è questa, perché difenderla? Chiede al Baghdadi agli arabi che pure si erano infervorati per le Primavere e agli emigrati musulmani in Europa che si sentono cittadini di seconda classe? L’Is ci conosce bene e sa fare marketing. Ecco perché si tratta di un avversario temibile, molto più pericoloso dei talebani (antidiluviani che non amano la tecnologia) o di altre forme di estremismo passatista. Un gesto come quello degli australiani che si sono offerti di scortare gli immigrati musulmani nei giorni successivi all’attacco alla cioccolateria è molto più pericoloso per l’Is di qualsiasi discorso incendiario dei fomentatori della destra europea o americana. Assomiglia alla reazione dei norvegesi dopo Utoya: difendere la nostra qualità democratica senza cadere nella caccia alle streghe, che è proprio l’errore che vorrebbe farci commettere al Baghdadi.  

Nel mondo del revivalismo estremista islamico vengono utilizzati tutti i registri ideologici, un mix di antico e postmoderno (con largo uso della tecnologia e dei social media), un nuovo prodotto etnico-religioso creato ad arte, simile alla raccolta degli scritti irrazionali dell’assassino di Utoya, Breivik o di altri. Davanti a tutto questo, la dottrina dello “scontro tra civiltà” è un’arma non solo spuntata ma goffamente preistorica. Come scrive Loretta Napoleoni nel suo recente saggio sull’Is, abbiamo a che fare con “l’utopia politica sunnita del XXI° secolo, un potente edificio filosofico che per secoli gli studiosi hanno cercato invano di far nascere”. Il cinismo inetto e isterico che prevale oggi in certe elite occidentali servirà solo ad aumentare la patologia. 

 

Per essere forti ci vuole un’idea, un’ideale, un’utopia da contrapporre all’Is, con forza e fiducia nei propri mezzi. Ma le “passioni tristi” di un mondo egocentrico e psicologicamente infragilito come il nostro, non promettono bene. Dovremmo saper comunicare il valore universale della democrazia, accettando anche l’autocritica sul nostro egoismo che tutto vuole per sé e nulla concede. Sciaguratamente, sembriamo noi stessi stufi del metodo democratico. Dobbiamo poter trasmettere un’idea positiva di globalizzazione come incontro tra diversità non irriducibili e reciproco arricchimento. Ma ciò è possibile solo con una politica economica che non allarghi le diseguaglianze: sarebbe ora di smetterla con l’ipocrisia di imporre ad altri regole che noi stessi non seguiamo e non vogliamo: il peso del mondo multipolare si porta tutti insieme. Dovremmo poter comunicare il bello e il buono di un convivere basato sulla pace e sui diritti umani, se non fosse che spesso utilizziamo questi ultimi come arma contro altri, con un’arroganza che respinge. 

 

Di fronte alla sfida capiamo meglio cosa vuol dire “accoglienza” degli immigrati e integrazione, che hanno il merito almeno di non aumentare l’odio, l’incomprensione, la distanza. Chi vi si dedica lavora per il futuro e protegge la nostra civiltà molto meglio di chi grida, condanna e aumenta pregiudizi. Mense, scuole e luoghi di rifugio strappano tanti giovani musulmani alla disperazione dell’avventura jihadista, in modo non diverso da come scuole, servizi sociali e presenza delle associazioni strappano i giovani italiani alle mafie. Questa è una lezione tutta italiana da comunicare al mondo. Soprattutto la scuola: non è forse questa una battaglia ideale da fare totalmente nostra e da annunciare al mondo come narrazione alternativa?

 

Il terribile massacro di Peshawar – maestri uccisi davanti agli allievi e l’orribile caccia all’alunno – ci dà la dimensione di quanto l’umile ma nobile lavoro dell’insegnante sia pericoloso per il terrorismo di qualunque tipo. Il sangue di quegli insegnanti e di quei bambini pakistani si mescola così idealmente a quello di don Pino Puglisi e di tutti quelli che si sono sacrificati per l’educazione dei bambini e dei giovani. Dobbiamo onorare tutti gli educatori, maestri ed insegnati ovunque nel mondo, dalla valle dello Swat a Scampia, che credono nel potere della parola e non cedono alla violenza. Se c’è un luogo sacro in democrazia, tale è la scuola. Non basterebbe questa come narrazione alternativa se solo volessimo farcene carico? 

 

Come dice Malala: “abbiamo capito l’importanza delle penne e dei libri quando abbiamo visto le armi”. Se ha coraggio una ragazzina pakistana, non dovremmo crederci anche noi? Dobbiamo anzi ringraziare perché la contro-narrazione all’Is, sorta dalla vicenda di questi e tanti altri testimoni, ha ancora una sicura voce universale su cui contare: quella di papa Francesco che non manca mai di parlare al cuore in modo comprensibile al di là della Chiesa stessa. Allo stesso modo è degna di rispetto ogni iniziativa di dialogo tra mondi religiosi diversi, che semina amicizia e simpatia preparando così l’avvenire perché l’arte dell’incontro batte ogni pregiudizio. 

 

Per convincere “cuori e menti” in Medio Oriente non basteranno denaro e forza: occorrerà trovare un linguaggio convincente rivolto agli arabo-sunniti, oggi oggetto di una serissima contesa. Chi vincerà tale duello ne trarrà un vantaggio geopolitico di primo piano. Dovrà essere una politica risolutiva e unitaria, perché occorre far presto: il sangue versato diviene muro di odio e rancore. La decisiva reazione all’Is, come ad altri terrorismi, potrà alla fine venire solo in seno all’islam, svelando l’inganno e la trappola dello “stato islamico”. 

 

In questo senso importante è stata la lettera di oltre 130 leader religiosi sunniti indirizzata ad al Baghdadi (lui stesso un laureato in studi islamici, non un dilettante): un testo durissimo, scritto con il linguaggio teologico-politico che unicamente in quel mondo si può intendere. Va messa in campo un’alternativa di politica, azioni e discorso, che tenga conto degli equilibri di un mondo vasto e complesso com’è quello sunnita, che rappresenta circa il 90% del miliardo e mezzo di musulmani nel mondo: tale è la posta in gioco.

 

Per approfondire: Tsunami in Medio Oriente

*Mario Giro è sottosegretario agli Affari Esteri.

http://temi.repubblica.it/limes/la-sfida-che-ci-lancia-lo-stato-islamico/67586

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La lettura nell’epoca di Twitter

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Se il mondo è oramai globale e la lettura deve aprirsi a nuovi orizzonti, quale modo migliore se non scegliere il canale social?

“Faccio parte di un gruppo di lettura con 110 mila iscritti”. Impossibile? No, se il gruppo in questione si chiama #1book140. #1book140 è uno dei tanti e tra i  più seguiti gruppi di lettura che hanno scelto come sede twitter.

Se il mondo è oramai globale e la lettura deve aprirsi a nuovi orizzonti, quale modo migliore se non scegliere il canale social? In 140 battute si può esprimere la propria opinione su un libro scelto dalla community e a cui si sono dati dei tempi di lettura di discussione ben precisi. Ogni gruppo di lettura (GDL) ha delle sue regole, ma in linea di massima seguono tutti la stessa direzione.

In #1book140, per esempio, il libro viene proposto dai partecipanti la prima settimana del mese e poi votato dalla community. Una volta fatta la scelta, i moderatori decidono i tempi per la discussione di ciascun capitolo e l’hashtag da inserire. Così come per i GDL tradizionali, anche per quelli dell’epoca social, la Gran Bretagna e i paesi ispanici hanno il primato per numero e partecipanti. L’Italia è ancora in una fase iniziale, ma già ci sono esperimenti ben riusciti. Ne è un esempio, @TwoReaders. Ideatrici e animatrici del gruppo sono Laura Ganzetti e Letizia Cianchcetta. @TwoReaders propone un titolo, regole e ritmo di lettura. Ogni lettore ha a disposizione due tweet al giorno di citazione e commento nei quali si discute del libro. I partecipanti non si conoscono e non si scelgono come potrebbe invece accadere per un gruppo di lettura tradizionale privato. I protagonisti sono l’opera e quello che l’opera suscita.

Pochi giorni fa, Luigi Gavizzi postava in gruppodilettura.wordpress.com un’interessante riflessione sulla necessità di rendere i GDL più pubblici, intendendo con pubblico due definizioni: “la prima riguarda la disponibilità, anzi la volontà, persino l’urgenza, di attirare nuovi lettori. La seconda, strettamente collegata alla prima, riguarda il bisogno, la volontà di comunicare del gruppo di lettura: comunicare quello che legge, come lo legge, le differenti letture e interpretazioni che la lettura condivisa nel gruppo genera”. Il limite (se così si può definire) del gruppo di lettura tradizionale, infatti, risiede solitamente nel suo essere un’alcova protetta e il renderlo aperto a possibili contaminazioni potrebbe provocare un corto circuito. Ma se si vuole che il libro torni a baciare la fronte di tanti, è necessaria un’apertura dei lettori forti verso il mondo esterno.

In questa battaglia moderna, chi più del social potrebbe riuscire nell’impresa? In un contesto in cui si è sempre connessi, il web non poteva non accogliere questa nuova sfida. I social network, ancora una volta, si incrociano e convivono. Twitter rimanda a Facebook per quello che in un tweet non si può scrivere e Facebook rimanda a twitter per il gruppo di lettura. Il GDL spagnolo @Club_de_lectura, che ha oggi all’attivo 2.800 tweet, usa, per esempio, Facebook per la votazione dei libri proposti. Ogni mese sono postate le copertine delle opere suggerite e quella che ottiene più “me gusta” diventa la lettura del mese.

A fine 2013, il social del cinguettio ha raggiunto 241 milioni di iscritti (nello stesso periodo Facebook ne aveva 1,2 bilioni) quanti di questi parteciperanno nel prossimo futuro a un gruppo di lettura social è una sfida tutta aperta.

(di Federica Rondino)

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Gli italiani? Meno libri, meno film, ma più mostre e serate a teatro

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Ecco come stanno cambiando i “consumi culturali” degli italiani (secondo l’Istat)


Fine anno, tempo di bilanci. E di risposte a domande del tipo: come stanno cambiando i “consumi culturali” degli italiani? Stando all’Annuario statistico dell’Istat, che considera il 2013 e il 2014 (anni di recessione per l’Italia, va ricordato), nel nostro Paese è in calo l’interesse per il cinema, mentre si tende a uscire di più di casaper andare a teatro (qui prevale un pubblico femminile) o a vedere un concerto.

Aumenta anche l’interesse per mostre e musei (1,8 milioni di visitatori in più nel 2013 rispetto al 2012). In particolare, nel 2014 il 62,6% della popolazione ha assistito ad almeno uno spettacolo o ha visitato musei e mostre (nel 2013 la percentuale era pari al 61,1).

Quanto alla televisione, resta l’attrazione preferita, in particolare dai bambini e dagli anziani. Non calano gli affezionati della radio (resta un’abitudine per il 56,7% della popolazione).

In discesa, invece, la lettura di libri e quotidiani.

Gli italiani? Meno libri, meno film, ma più mostre e serate a teatro

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432 hz, storia e considerazioni sulla più acclamata accordatura benefica

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Sul tema dell’accordatura a 432 hz per il LA degli strumenti musicali, si trovano moltissime opinioni, ma pochi studi pubblicati. Cercherò in questo articolo di riassumere tutto ciò che possiamo sapere a riguardo e cosa di veramente utile ne possiamo trarre.

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L’adozione dell’attuale frequenza di 440 hz per la nota LA, e di conseguenza l’altezza delle rimanenti note, è merito dell’Organizzazione Internazionale per le Standardizzazioni, che lo fece nel 1955. I motivi che portarono a questa decisione, credo siano semplicemente legati alle caratteristiche fisiche degli strumenti esistenti per rendere più semplice accordare le orchestre (qualcuno parla addirittura di un complotto della chiesa, ma mi pare improbabile).
Sta di fatto che c’è un movimento, chiamato appunto OMEGA 432, che sostiene come accordatura migliore una frequenza più calante rispetto ai 440 hz, appunto 432 hz, e giustifica questa scelta con motivazioni di carattere storico, armonico e fisico.
Andiamo con ordine.
Del LA a 432 hz erano utilizzatori MozartVerdi, tanto che addirittura era chiamata l’accordatura di Verdi, quindi diciamo che ci sono precedenti illustri.
Il concetto più profondo a sostegno di questa frequenza, risiede nella sua maggiore armonicità con la natura e con i processi della vita, tutte cose che trovano conferma anche nella Cimatica. E’ logico pensare che vi siano anche frequenze armoniche con queste caratteristiche della vita ed altre disarmoniche con esse. Per i sostenitori di questa tesi 432 hz sono armonici, mentre 440 hz non lo sono e causerebbero maggiori tensioni e stress rispetto alla prima frequenza. Ma vediamo come.
432 Hz è una frequenza interconnessa ai processi fisiologici del DNA e del cervello, e anche alla vibrazione cosmica di fondo che è 8 Hz.
Anche la luce è collegata al suono, 432 sarebbe il rapporto tra i due tipi di onda fisica. Inoltre ritroviamo questa frequenza in fenomeni planetari come ad esempio il movimento tra Sole e Saturno. Non pensiamo che questo non c’entri nulla con il suono, perchè ad un’analisi superficiale potrebbe sembrare così, ma non lo è. Sappiamo che la frequenza è un numero di ripetizioni cicliche nel tempo. Bene, il secondo (unità di misura del tempo) deriva dal movimento della terra attorno al sole, e il fenomeno degli armonici ha a che fare con questo fenomeno ciclico, essendo gli armonici anch’essi frequenze basate su una ripetizione nel tempo.
Insomma la frequenza di 432 Hz collega assieme proprietà fisiche quali luce, tempo, spazio, gravità, magnetismo, con fenomeni biologici come il DNA e la coscenza.

Andrija Puharich e gli 8 Hz

Un’altra importante considerazione che i sostenitori dell’intonazione a 432 hz fanno è basata sulla matematica dell’8. Andrija Puharich era un medico pioniere per le proprie ricerche sull’elettrobiologia. Fu molto attivo, tanto da superare le cinquanta pubblicazioni scientifiche e ottenere decine di brevetti. Una delle cose di cui si occupò sono le cosiddette ELF (onde a frequenza molto basse).
I suoi studi dimostrano che le onde cerebrali umane si armonizzano con le ELF presenti nell’ambiente. Queste onde sono presenti naturalmente sulla terra e vengono emesse ad una frequenza di 7.83 Hz, detta frequenza Schumann. Secondo i suoi studi, a questa frequenza la sensazione del cervello è di benessere, ma se per qualsiasi causa, la frequenza aumenta o diminuisce, si hanno effetti sulla salute umana. Se aumenta sui 10 Hz si ha un comportamento violento, mentre se diminuisce sui 6 Hz, la conseguenza è una depressione. Se però le frequenze calano troppo o salgono troppo gli effetti sono dannosi anche per la salute fisica, con formazioni di cancro e malattie varie.

La musica ad esempio può essere basata su frequenze multiple di 8 Hz, che favoriscono l’armonizzazione tra l’uomo e la natura, come accordando gli strumenti con un La a 432 Hz. Forse per qualche motivo non è facile diffondere queste semplici idee.

Andana Bosman

Andana Bosman è un musicista e ricercatore che vive in Norvegia. Egli ha compiuto ricerche e studi sulla “ghiandola pineale” (detta anche epifisi) e sul suo ruolo nella salute umana. Questa ghiandola è presente in tutti gli individui, situata circa in posizione centrale nel cervello umano, e secerne l’ormai famoso ormone “melatonina”, riconosciuto quale antagonista dell’invecchiamento, inoltre ha un ruolo fondamentale nella regolazione del sonno, aumentando le fasi “REM”.
Secondo Bosman, essa ha un’importante influenza sulla replicazione del DNA e di conseguenza sull’invecchiamento. Altro importante effetto della corretta stimolazione di questa ghiandola è che favorisce il rilascio della serotonina, con conseguente azione antidepressiva e potenziamento del sistema immunitario.
Una caratteristica importante dell’epifisi, è che si attiva se stimolata da vibrazioni ad otto cicli per secondo (8 Hz). Queste vibrazioni possono essere presenti nell’ambiente dove siamo, essendo, come ho già più volte detto in questo blog, la frequenza di 8 Hz quella di base della vibrazione del pianeta terra dove viviamo. Quindi la natura incontaminata può trasmettere questa frequenza o multipli di essa al nostro organismo.
La musica può naturalmente anch’essa favorire la trasmissione di questa frequenza, se gli strumenti sono accordati nel modo dovuto e se eseguono musica che preveda un’armonia basata su multipli di 8 Hz, quindi ad esempio un LA a 432 Hz.
Oppure la meditazione, che può anche essere unita alle precedenti due esperienze, ha la facoltà di stimolare il cervello stesso a lavorare con onde dette “alfa”, che sono appunto caratterizzate da questa frequenza e che riescono a sincronizzare i due emisferi.
L’ideale sarebbe meditare cantando mantra basati su note multiple di 8 Hz, magari in un luogo tranquillo ed armonioso, come in montagna, sopra agli scogli, vicino ad un corso d’acqua ecc.

432 Hz: due diversi approcci

Nel sostenere i 432 hz ci sono due movimenti principali, quello dello Schiller Institute, che rappresenta il mondo della musica classica e acustica, e quello iniziato da Ananda M. Bosman, denominato AUMega Music Revolution. La differenza tra i due è che mentre il primo si accontenta di abbassare l’attuale intonazione standard da 440 Hz a 432Hz, l’altro propone anche l’utilizzo di una diversa scala per tutti i rapporti tra le varie note.
Le ricerche di Bosman, lo hanno portato a sostenere che non solo è importante la frequenza di partenza, ma che anche tutte le altre frequenze dovrebbero seguire una particolare scala, da lui creata, che rispetti i numeri del Pentaedro di Siepinski: 36, 54, 72, 108 e 144, che sarebbero la rappresentazione della matematica dell’8, frequenza fondamentale alla base della vita. In questo modo non solo la nota LA, ma anche tutte le altre sarebbero una naturale conseguenza della biochimica presente nel nostro pianeta, e quindi produrrebbero una musica più “salutistica”, in quanto capace di “rigenerare” l’organismo dell’ascoltatore.
Per adottare quest’accordatura e intonazione delle note, si presenta un problema, giacché solo un sintetizzatore o un computer possono facilmente cambiare i parametri delle note. Quindi per ora il movimento AUMega produce solo musica elettronica. Per gli strumenti acustici, l’unica cosa fattibile è accordarsi a 432 Hz, e mantenere i rapporti della scala equabile. Per questo lo Schiller Institute non ha abbracciato le teorie di Bosman, perché significherebbe riprogettare gli strumenti esistenti da capo.

432 Hz: non solo questione di accordatura

Ragioniamo sull’assunto che se la produzione musicale si attiene ad una logica basata su multipli di 8, ottiene l’effetto di essere più rilassante e benefica per l’uomo, mentre quando se ne allontana allora tradisce queste aspettative e diventa più angosciante e instabile per l’orecchio umano.

C’è anche chi sostiene che gli effetti vanno oltre e implicano la salute. In mancanza di studi medici provati, non mi voglio esprimere in merito, perciò mi limito a citare parametri di ordine sensoriale.
Per avere musica basata sulla matematica dell’8, si possono intonare gli strumenti con un LA a 432 Hz, e questa è l’accordatura, si può adottare una scala non temperata, che avvicini maggiormente gli intervalli alle proporzioni richieste, e questa è l’intonazione. Non finisce qui però.
Anche il tempo, ad esempio, può essere adattato a questi concetti. Oppure le proporzioni della composizione, cioè il numero di battute che individuano le varie sezioni del brano (strofa, ritornello, esposizione, sviluppo, ecc.). Anche gli effetti applicati al brano come delay, phaser, e tutti i vari parametri riguardanti un brano musicale, dalla sua composizione, alla sua registrazione, possono essere oggetto di questa logica matematico-naturale.
Ecco come nasce l’AUMega Music di Ananda Bosman, con un intento completamente naturale. Per esempio sui tempi, egli si attiene ai 72 bpm, ai 144 bpm e ai 108 bpm (anche se quest’ultimo non è multiplo di 8). Sono numeri che derivano dalla geometria frattale del Pentaedro di Sierpinski.

Le frequenze che curano esistono?

432 hz wave, onda a 432 hz
Cerchiamo ora di ragionare obiettivamente su cosa comporta accordare la musica a 432 hz e se davvero possono esserci tanti benefici.

Vi sono scuole di pensiero che partono dalla cimatica, e che ritengono possibile curare o comunque trasmettere benessere applicando particolari frequenze al corpo umano. Esistono anche liste di queste frequenze consultabili. E’ una cosa che può sembrare logica, basandosi su fenomeni fisici che si rifanno alla natura vibrazionale dell’uomo.
Da queste supposizioni e ricerche partono anche i sostenitori dell’intonazione a 432 Hz, oppure dei battiti binaurali, o del brain entrainment e di altre applicazioni sonore che intendono rifarsi a specifiche frequenze aventi un’ipotetica influenza su onde cerebrali, organi specifici o comunque sul benessere della persona. Ma bisogna considerare che le peculiarità della natura umana sono molte e parecchio variabili. In altre parole potrebbe benissimo essere che una specifica frequenza faccia bene ad una persona e non ad un’altra, oppure che cambi per la stessa persona col passare del tempo.
Ad esempio le onde cerebrali, che vengono accostate alla risonanza di Schumann, hanno frequenze molto variabili, che non per forza sono sempre prossime a 7,83 Hz, per cui chi può dire che quella sia la frequenza migliore per tutti? E lo stesso discorso si può fare per ogni altro aspetto della cura della persona. Vi sono troppe variabili: DNA, misure e peso del corpo, età, sesso, ecc. Per non parlare di un altro importante parametro che viene poco contemplato, e cioè quello della volontà e dell’intento.
Se chi si sottopone ad una terapia sonora non lo fa con la giusta predisposizione gli effetti non saranno quelli desiderati, e lo stesso si può dire per chi esegue il trattamento. Questo lo sapevano bene i maestri orientali del Nada Yoga, che infatti non indicano frequenze che valgono in assoluto, ma invece note personali su cui impostare le terapie e le tonalità, che variano per ogni individuo e che possono variare nel corso della vita.
La saggezza popolare insegna che se una cosa non fa bene, ce ne accorgiamo subito, in quanto non ci sentiamo in sintonia con essa, per cui avvertiamo disagio. Se invece ne possiamo trarre beneficio avremo sensazioni positive. Ecco che allora la vera terapia sonora dovrebbe partire dalla ricerca di una maggiore consapevolezza di quello che cerchiamo, perchè alle volte non siamo nemmeno capaci di capire quello che ci fa bene e quello che non è adatto per noi.
Prendiamo ad esempio ai sostenitori della musica intonata a 432 hz. Se ci pensate bene in un brano musicale, o peggio in un’opera classica, vi sono moltissime frequenze sonore che si integrano tra di loro, per cui che senso ha cambiarne solo l’accordatura? La tonalità, con cui la maggior parte dei suoni che partecipano all’opera si intonano, sarà una somma di molte frequenze e l’effetto sarà suggerito dall’ascolto, per cui la stessa opera, suonata da una diversa orchestra potrebbe non sortire lo stesso effetto su di noi. E tutto ciò indipendentemente dalle frequenze d’intonazione. Come faremo a scegliere un brano con parametri puramente matematici? E’ impossibile, meglio farlo seguendo la nostra coscienza.

Enzo Crotti

432 hz, Storia e Considerazioni

 

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Malattia e psicologia: quando la mente ci apre nuove strade verso la guarigione

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Qualche tempo fa mi serviva uno dei miei vecchi libri, e mi sono ritrovata nel garage di una mia amica di Parma a recuperare scatoloni polverosi di volumi lasciati lì in deposito temporaneo prima di uno dei miei espatri. Il libro che mi serviva è saltato fuori, ma in compenso ne ho inaspettatamente ritrovato un altro che non ricordavo di avere. Caso o destino, sono sempre le cose inaspettate che ci cambiano davvero la prospettiva: il libro si intitola “Narrare la malattia“, di Byron J. Good, ed è un libro di antropologia medica. Il soggetto è estremamente interessante, specialmente quando si va ad indagare sulle radici della malattia in connessione con i nostri limiti mentali.

LA MALATTIA COME STATO METAFISICO

Sebbene si tratti di una lettura piuttosto tecnica e impegnativa, ricordo che quando iniziai a leggerlo come parte di un esame universitario rimasi colpita da un’idea che l’autore trasmetteva: quando siamo malati, il nostro corpo non risponde come vorremmo noi ai nostri bisogni e desideri, ci intrappola nell’immobilità costringendoci a fermarci per poter guarire. E mentre il corpo resta fermo, la mente è libera di spaziare, di concentrarsi su degli stati ben precisi del nostro corpo, come il battito del cuore, una sensazione acuta che cerchiamo di localizzare o di ignorare, oppure liberarsene completamente ed espandersi a dismisura. Senza che ne siamo completamente consapevoli, il dolore e la malattia alterano il nostro stato di coscienza, ci inducono a uno stato prolungato di riflessione sulla nostra condizione, mentre complicati processi fisiologici ci ricostruiscono poco a poco, cercando di ristabilire quell’equilibrio che chiamiamo salute.

Tutti ci siamo passati: quando non possiamo muoverci fisicamente, ci spostiamo con la mente. Ecco perché la malattia può essere considerata un diverso stato metafisico.

LA MALATTIA COME STATO DELL’ANIMA

Pur senza apparente correlazione con il libro di cui sopra, pochi giorni fa – su consiglio di una persona speciale – ho iniziato a leggere un romanzo di Alejandro Jodorowski: “La danza della realtà”. La storia non ha a che fare specificamente con la malattia, anzi… c’è molta poesia nella realtà di Jodorowski. Eppure, un paio di giorni fa, spiando l’alba dal finestrino di un aereo, ho letto alcune pagine e poi ho chiuso il libro e non l’ho ancora riaperto, rapita da mille collegamenti mentali che portano ulteriormente avanti il discorso del libro di Good: dalla mente, si passa all’anima.

Più tardi compresi che tutte le malattie, perfino le più crudeli, erano un genere di spettacolo. Alla base c’era la protesta per una carenza affettiva e per il divieto di pronunciare qualunque parola o fare un gesto che rivelasse tale mancanza. Il non detto, il non espresso, il segreto, poteva addirittura trasformarsi in malattia. L’animo infantile, soffocato dai divieti, elimina le difese organiche per consentire l’ingresso al male, poiché soltanto così avrà l’opportunità di esprimere la propria desolazione. La malattia è una metafora. E’ la protesta di un bambino trasformata in rappresentazione“.

LA CHIAVE DELLA GUARIGIONE

Jodorowski, però, non si limita a indurre il lettore a riflettere: fornisce anche una soluzione alla malattia. La chiave della guarigione è il cambio di prospettiva, la ricerca dentro sé stessi:

“‘Il mondo è come penso che sia. I miei mali derivano da una visione distorta. Se voglio guarire, non è il mondo che devo cercare di cambiare ma l’opinione che ho di esso’.

I miracoli sono paragonabili alle pietre: si trovano ovunque e offrono la loro bellezza, ma nessuno ne riconosce il valore. Viviamo in una realtà dove abbondano i prodigi, ma li vedono soltanto coloro che hanno sviluppato le proprie percezioni. Senza tale sensibilità tutto è banale, l’evento meraviglioso viene chiamato casualità e si cammina per il mondo senza avere in tasca quella chiave che si chiama gratitudine. Quando si verifica un fatto straordinario lo consideriamo un fenomeno naturale di cui approfittare come parassiti, senza dare niente in cambio. Invece il miracolo richiede uno scambio: ciò che mi è stato dato devo farlo fruttificare per gli altri. Se non viviamo uniti agli altri non possiamo captare il portento. I miracoli non li provoca nessuno, vengono scoperti. Quando colui che credeva di essere cieco si toglie gli occhiali scuri, vede la luce. Questa oscurità è il carcere della ragione.

A riprova che la mente si libera inconsciamente quando il nostro corpo ci immobilizza, e ci lascia quel tempo di cui ncessitiamo per guarire l’animo, cambiando la nostra prospettiva su noi stessi e sul mondo, e ricostruendo anche il corpo.

Simona Gauri

http://salute.leonardo.it/malattia-e-psicologia-quando-la-mente-ci-apre-nuove-strade-verso-la-guarigione/

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Dopo la lettura di Benigni i 10 comandamenti non sono più gli stessi

RobertoBenigni-722x540Su Rai1 trionfo d’ascolti per il comico toscano. Su IlLibraio.it l’analisi di Alberto Maggi, studioso di temi biblici, oltre che autore di “Chi non muore si rivede”: “Benigni è riuscito a scontentare tutti, sia i conservatori, sia i reazionari, sia i progressisti…”


di Alberto Maggi

 

Dopo la lettura di Benigni i comandamenti non sono più gli stessi. Chi potrà mai dimenticare che il comandamento “Non rubare”, Dio l’ha scritto direttamente nella lingua italiana, in quanto insegnamento esclusivo per la corrotta Italia! Forse se la Chiesa avesse insistito meno sul sesso (tema ignorato da Gesù nel suo insegnamento) e più sul peccato di corruzione, sull’avidità, sull’ingordigia – atteggiamenti denunciati con forza da Gesù in quanto ritenuti la causa di ogni ingiustizia umana – la società sarebbe differente. E si spera che la Chiesa cattolica di Papa Francesco cancelli definitivamente dal Catechismo della Chiesa l’infelice articolo nel quale si legittima la pena di morte. In uno dei momenti più alti di tutto il programma, l’attore, con i tratti del volto tesi, ha infatti denunciato una società omicida che sopprime solo per legittimare i propri interessi e mai per giustizia.

Alla fine comunque Roberto Benigni è riuscito a scontentare tutti, sia i conservatori reazionari (come si è permesso ridicolizzare l’insegnamento della Chiesa cattolica sulla sessualità?) sia i progressisti, sempre con la puzza sotto il naso, che hanno trovato non abbastanza provocatoria l’interpretazione che ha dato dei comandamenti di Mosè. Eppure nella prima serata i tradizionalisti avevano esultato vedendo con quale enfasi, quasi da telepredicatore pentecostale, Benigni aveva presentato i primi tre comandamenti, quelli esclusivi del popolo di Israele, centrati sull’unicità di Dio. Ma poi Benigni ha rovinato tutto ieri sera, denunciando il crimine di una Chiesa sessuofoba che ha manipolato la stessa parola di Dio e trasformato il comandamento “Non commettere adulterio” in “Non commettere atti impuri”, rovinando così generazioni di adolescenti che si sono sentiti colpevolizzati per quelli che erano solo fenomeni dovuti all’esuberanza di ormoni in circolo.

Ma da vero genio dello spettacolo, l’asso nella manica Roberto l’ha tirato fuori proprio verso la fine della seconda serata. Dopo aver presentato in maniera teologicamente corretta e profonda i comandamenti, e la figura di Mosè e del Dio d’Israele, accentuando e magnificandone le luci e tacendo o sorvolando sulle ombre (secondo la Bibbia ha ammazzato più ebrei Mosè per liberarli dalla schiavitù egiziana che il faraone per trattenerli), il grande attore, con nonchalance, ha assestato il colpo basso. Roberto Benigni ha raccontato infatti, come Gesù interrogato da uno degli scribi – i teologi ufficiali dell’istituzione religiosa – su quale fosse il comandamento più importante, nella sua risposta abbia ignorato provocatoriamente le tavole di Mosè, e si sia rifatto all’“Ascolta Israele”, il “Credo” che gli ebrei recitavano due volte il giorno: “Il più importante è “Ascolta Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. La domanda dello scriba concerneva un solo comandamento, il più importante. Ma secondo Gesù l’amore per Dio non è completo se non si traduce in amore per il prossimo, e per questo aggiunge alla sua risposta un precetto contenuto nel libro del Levitico: “E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questi”.

La disinvoltura di Gesù verso i comandamenti di Mosè è infatti a dir poco sconcertante. Quando l’uomo ricco gli chiese quali comandamenti osservare per ottenere la vita eterna, Gesù nella sua risposta omise quelli che riguardavano gli obblighi verso Dio e gli elencò solo i doveri verso gli uomini. Per Gesù non sono indispensabili per la salvezza i tre comandamenti esclusivi di Israele, la cui osservanza garantiva a questa nazione lo “status” di popolo eletto: Cristo ha preferito ribadire il valore di cinque essenziali comandamenti validi per ogni uomo, ebreo o pagano, credente o no, che riguardano basilari atteggiamenti di giustizia nei confronti del prossimo: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e la madre”.

“Con dieci parole fu creato il mondo” (Pirqé Aboth 5,1), insegnava la teologica ebraica con riferimento al¬le dieci parole di Esodo 34,28: “Scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole”. L’evangelista Giovanni nel prologo al suo vangelo non è d’accordo. Prima ancora della creazione del mondo c’era il Logos, un’unica Parola in base alla quale tutto fu creato (“In principio era la Parola”, Gv 1,1), una sola Parola che si formulerà nell’unico comandamento che Gesù lascerà ai suoi: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Con Gesù il credente non è più colui che ubbidisce a Dio osservando le sue Leggi, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore uguale a quello che del Padre è proprio.

 

L’AUTORE – Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci» (www.studibiblici.it) a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere. Ha pubblicato, tra gli altri: Roba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio e Versetti pericolosi. E’ in libreria con Garzanti
Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita.

 

http://www.illibraio.it/dopo-la-lettura-di-benigni-10-comandamenti-non-sono-piu-gli-stessi-162923/