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Il “Manoscritto di Voynich”, il libro più misterioso del mondo.”

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“Il “Manoscritto di Voynich”, il libro più misterioso del mondo.” Così lo definisce Paolo Cortesi, scrittore, bibliotecario e saggista che si occupa da anni di filosofia e di storia. E non c’è una definizione più indovinata di questa. Ci sono dei testi antichi come “Il Libro di Thot”, “Le Stanze di Dzyan”, “Il Manoscritto di Mathers”, la stessa “Bibbia” di cui ne conosciamo il contenuto nei dettagli. Ma del “Manoscritto di Voynich” siamo in alto mare. Come vedremo, fino dalla sua comparsa per opera di John Dee, è stata un’incognita totale. E questo ha dato luogo a tante interpretazioni diverse che cadono nell’assurdo e nel fantastico, che hanno portato solo confusione, spaccature e misteri. La conseguenza di queste diatribe che sono durate secoli, è che hanno condannato questo piccolo manoscritto ad una fine ingloriosa: sei un falso! Cioè una invenzione totale, sia della scrittura che sarebbe senza senso e dei disegni.

Ho iniziato ad analizzare il “Manoscritto di Voynich” spinto dalla curiosità, considerandolo prima di tutto un “prodotto” umano, fatto da uomini per altri uomini. Ho lasciato da parte l’immaginazione ed allargato il campo di ricerca nel mondo medioevale e tardo-rinascimentale, rintracciando quella “sapienza” che è stata volutamente persa nei secoli. Non ho quindi relegato questo manoscritto nelle scappatoie del mistero, che è, purtroppo, un terreno fangoso da cui difficilmente si riesce a scappare. Non mi piace parlare di “Mistero” nel senso stretto della parola, cioè come fosse un limite, perché non ci permette di andare “oltre” ed è come un alibi per nascondere il sapere e neppure del termine “Falso”, che presupporrebbe che ci sia stato un originale da contraffare.Quando ci troviamo di fronte a qualcosa di sconosciuto, le reazioni possono essere diverse. Molti si nascondono dietro alle pareti dell’arcano, delle magie, dei ripieghi più strani. Ma non è sempre così: c’è una logica dietro ad ogni cosa, anche se l’ignoto è parte integrante della vita dell’uomo.

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Capita che, certe volte, trasciniamo la nostra mente in una spirale irreversibile posta sotto la cupola del mistero e tentiamo di trovare in lungo e in largo quelle spiegazioni che poi stanno sotto i nostri occhi. In realtà la maggior parte delle cose più inquietanti ha come risvolto una risposta semplice. Le nostre informazioni sulle origini del mondo sono ferocemente limitate, a causa della mancanza di una documentazione scritta. Lo scrittore francese René Etiemble (1909–2002) scrive a questo proposito: “Gli uomini nascono e muoiono da milioni di anni, ma scrivono solo da seimila anni.” Sì, da seimila anni usufruiamo della scrittura per “fissare” la memoria degli uomini. Un esempio: i Sumeri che hanno utilizzato delle tavolette di argilla come supporto per i loro caratteri cuneiformi. In seguito le civiltà successive hanno perfezionato il materiale su cui scrivere; dai papiri siamo passati ad usare le pelli di animali che ci hanno permesso di creare i primi libri, in modo tale che il grande patrimonio culturale e storico delle epoche lontane arrivasse fino a noi: un immenso sapere che le antiche civiltà, oggi scomparse, ci hanno lasciato.

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Grazie alla loro lungimiranza, gran parte delle tradizioni che una volta si tramandavano oralmente sono giunte fino ai giorni nostri, nonostante che questo patrimonio storico dell’umanità sia stato depauperato nei secoli passati. Come è successo nell’incendio della Biblioteca di Alessandria, dove sono stati bruciati ben 700.000 volumi prima per mano dei Romani, nel 45 a.c., poi da parte dei musulmani nel 642 d.c. Anche durante il Medioevo è proseguita la distruzione dei libri non in linea con il pensiero religioso. Comunque, le fiamme dei roghi non sono riuscite a bruciare totalmente l’antica memoria storica. A proposito di questa consuetudine, al Museo del Prado a Madrid si trova un quadro significativo di Pedro Berreguete (1450–1504), raffigurante “Un rogo di libri alla presenza di San Domenico”. Nella tela vediamo che alcuni libri sono gettati nei carboni accesi davanti al monaco. Vuole la leggenda che i volumi presunti eretici e fuori dall’ottica del pensiero canonico prendessero fuoco, mentre i testi veramente sacri, ispirati dalla fede, fossero respinti dalle fiamme e sollevati in aria lontano dalla graticola.

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Il Medioevo era ancora “una terra di antica sapienza” e la creazione della Nuova Accademia Platonica, voluta da Marsilio Ficino e da Giovanni Pico della Mirandola, che rivalutava il platonismo fino allora messo in disparte, ne è un esempio concreto. Al di fuori di poche isole felici, gli studiosi erano costretti a nascondere un’antica conoscenza che risaliva alla notte dei tempi, scrivendo testi ermetici in modo che solo poche persone potessero comprenderne il contenuto. Questi testi riuscirono ad evitare i fuochi dei frati inquisitori, dove le fiamme erano usate per sopprimere una visione scientifica non coerente con i dettami della religione e delle Sacre Scritture. Per fortuna, scampa così, dalle orge dei falò, questo piccolo manoscritto che faceva parte sicuramente della biblioteca di una setta d’iniziati, forse perché dimenticato; forse perché nessuno sapeva quale fosse il significato del suo contenuto; forse perché è stato il destino che ha voluto che si salvasse.

Tratto da: VOYNICH UN FALSO? NO, GRAZIE! di Fabio Fornaciari – Harmakis Edizioni

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Freud e Mosè

In this photo released by the Sigmund Freud Museum in Vienna former Austrian psychoanalyst Sigmund Freud is pictured in his working room in 1938. Austria and the world will be celebrating Sigmund Freud's 150th birthday on Saturday May 6, 2006. (AP Photo/Sigmund Freud Museum)

“Non è impresa né gradevole né facile privare un popolo dell’uomo che esso celebra come il più grande dei suoi figli: tanto più quando si appartiene a quel popolo. Ma nessuna considerazione deve indurre a subordinare la verità a presunti interessi nazionali, quando dal chiarimento di un problema obbiettivo possiamo attenderci un progresso delle nostre conoscenze”

 Incomincia così questo scritto di Freud. Un libro che è il testamento del grande studioso e nello stesso tempo la dimostrazione della sua onestà intellettuale e del desiderio di conoscere e di capire che ha guidato tutta la sua vita. – Mosè e il Monoteismo fu scritto prima a Vienna e poi pubblicato in Olanda nel 1938. E’suddiviso in 3 parti. Freud era affascinato dall’Antichità e possedeva una notevole collezione di reperti archeologici, soprattutto egizi e non se ne separò nemmeno in esilio.

Egli affermò, che la storia della nascita di Mosè è una replica di altri antichi miti sulla nascita di alcuni dei grandi eroi della storia. Freud sottolineò, tuttavia, che il mito della nascita e l’esposizione di Mosè si distingue da quelle degli altri eroi e varia da loro su di un punto essenziale. Per nascondere il fatto che Mosè era Egiziano, il mito della sua nascita fu invertito per farlo veniree al mondo da umili genitori e soccorso da una famiglia importante:

E’ molto diverso nel caso di Mosè. Ecco la prima famiglia, normalmente di umili origini, e abbastanza modesta. Lui è un bambino nato da Ebrei Leviti. Ma la prima famiglia viene sostituita in questo caso, da una seconda, la casa Reale d’Egitto. Questa strana divergenza di genere, ha colpito molti ricercatori.”

Freud ha osservato la stranezza che il legislatore Israelita, se in realtà Egiziano, avrebbe dovuto trasmettere ai suoi seguaci una fede monoteistica, piuttosto che la classica credenza egiziana in una pletora di dei e immagini. Allo stesso tempo, ha trovato grande somiglianza tra la nuova religione che Akhenaton ha cercato di imporre al suo paese e l’insegnamento religioso attribuito a Mosè.

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Freud giunse alla conclusione che Akhenaton fu ucciso dai suoi stessi seguaci a causa della natura aspra del suo regime monoteista e ha suggerito che in seguito uno dei suoi alti funzionari, probabilmente chiamato Thutmose, un aderente alla religione di Aten (Aton), scelse la tribù Ebraica, che già abitava a Goshen nel Delta orientale, per essere il suo popolo eletto, li portò fuori dall’Egitto, all’epoca dell’’Esodo e trasferì a loro, i principi della religione di Akhenaton. L’origine del nome Mosè era mos, la parola Egizia “bambino”, che troviamo in molti nomi Egizi composti, come Ptah-mos e Thut-mos.

La nascita di Mosè ed il suo essere salvato dalle acque è la replica esatta della storia di Sargon, salvato dalle acque nel 2540 a.C e diventato re degli Accadi. I dieci comandamenti sono una sintesi dei 42 peccati che il ka doveva dichiarare di non aver commesso davanti ai 42 giudici e ad Osiride. L’arca dell’alleanza che dio aveva ordinato di edificare nel tempio di Salomone, riproduce la barca degli dei del tempio egiziano.

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Il libro dei Proverbi, forse le pagine più belle dell’Antico Testamento derivano da un papiro del 2000 a.C. La saggezza di Amenope, ora conservato al British Museum. Per non parlare della somiglianza dei Salmi della Bibbia con gli inni al dio Sole di Akhenaton (vedere Salmo – 104 di Davide). La morale civile e sociale è nata quindi molto prima che Mosè salisse sul monte e ne scendesse con i pietroni scritti da dio. Fa parte dell’umanità da quasi 5000 anni ed è una scoperta civile ed umana che si tramanda nei secoli.” La virtù dell’uomo è il suo monumento, ma sarà dimenticato l’uomo malvagio” Si trova scritto su una pietra tombale egizia del 2200 a.C.

Quello che nessuno menziona è il “Contro Apione di Giuseppe Flavio”. Qui l’autore menziona Manetone, il sacerdote e storico egiziano della fine del IV sec a. C. Manetone sostiene che Mosè era un famoso sacerdote egiziano di Eliopolis che fu cacciato dall’Egitto poiché si era unito ai lebbrosi. L’importanza di questa menzione di Giuseppe Flavio deriva dal fatto che questi si adopera tenacemente per confutare le parole di Manetone.

Tito Flavio Giuseppe (in latino: Titus Flavius Iosephus), nato Yosef ben Matityahu (IPA: jo’sɛf bɛn matit’jahu) (in ebraico: יוסף בן מתתיהו‎?; Gerusalemme, 37-38 circa – Roma, 100 circa) è stato uno scrittore, storico, politico e militare romano di origine ebraica. Conosciuto anche come Flavio Giuseppe, Giuseppe Flavio o semplicemente Giuseppe, scrisse quasi tutte le sue opere in greco.

Freud sostiene che la circoncisione sia stata data agli ebrei da Mosè e questa, come riporta anche Erodoto, era una peculiarità egizia, che gli ebrei riconoscono di aver ricevuto dagli Egiziani assieme al divieto di magiare carne di maiale, un animale sacro in Egitto.

Ma allora chi era Mosè?

Per capirlo dobbiamo ritornare ai tempi del faraone Amenofi IV salito al trono dopo la morte di Thumtmose III. La sua fama è legata al suo ruolo di condottiero nell’esodo degli Ebrei dall’Egitto alla Terra Promessa attraverso il Mar Rosso e il deserto, e alla funzione di legislatore a seguito delle rivelazioni divine sul Monte Sinai, dove gli sarebbe stato consegnato da dio stesso il Decalogo con i comandamenti e gli sarebbero state insegnate le Leggi che formeranno la cosiddetta “Legge mosaica” o Torah. Sappiamo il legame che unisce Mosè a questa terra, dove nacque e fuggì con il suo popolo. Mosè è una figura della memoria ma non della storia, Akhenaton invece, è una figura della storia e non della memoria. Alcuni studiosi ritengono che il monoteismo del personaggio biblico deriva da quello del sovrano egizio.

La biblica «distinzione» operata da Mosè – il rifiuto cioè di politeismo, idolatria e superstizione in nome del monoteismo – era stata preceduta da un’analoga «distinzione» da parte del faraone: e vi fu chi, come Freud afferma che il profeta biblico consegnò, da egizio, agli ebrei dell’Esodo proprio il monoteismo di Akhenaton. E’ nell’epoca di Akhenaton in una situazione di profonda anarchia e disordine sociale che Freud colloca l’esodo degli Ebrei, i quali, guidati da Mosè, un alto funzionario di Akhenaton, caduto in disgrazia alla morte di costui, lasciano l’Egitto per trovare una loro vera patria. Meta della migrazione doveva essere la terra di Canaan dove avevano fatto irruzione le orde dei bellicosi Aramei, chiamati Habiru ed il cui nome fu poi trasferito agli Ebrei. Freud suggerisce pure che Mosè un grande personaggio egizio, abbia portato con sé i suoi scribi egiziani, ossia i Leviti.

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Ma il passato, anche se remoto non ci abbandona così facilmente  e Freud, costretto a fuggire dalla sua Vienna per colpa della persecuzione nazista, trova una spiegazione dell’odio dei Cristiani europei contro gli Ebrei nella storia: “…I motivi dell‘odio per gli Ebrei sono radicati nel passato più remoto, agiscono nell’inconscio dei popoli….non dimentichiamoci che tutti questi popoli che oggi hanno il primato dell’odio per gli Ebrei sono diventati cristiani solo in epoca storica tarda, spesso spinti da sanguinosa coercizione. Si potrebbe dire che sono tutti -battezzati male- e che sotto una sottile verniciatura di cristianesimo sono rimasti quello che erano i loro antenati che professavano un barbaro politeismo. Non hanno superato il loro rancore contro la nuova religione che è stata loro imposta, ma l’hanno spostata sulla fonte donde la nuova religione è loro venuta.” Sono d’accordo con lui ma aggiungerei che la persecuzione nei secoli non ha riguardato solo gli Ebrei ma pure i pagani, quindi le donne che tramandavano le cure naturali in disaccordo con la terrificante medicina ufficiale, e considerate perciò streghe, coloro che cercavano di ragionare con la propria testa come Campanella, Giordano Bruno o Galilei, i serpenti, i gatti, praticamente tutti gli aspetti della natura in cui gli Egizi vedevano l’espressione della divinità. Sembra che l’imperante monoteismo abbia voluto cancellare con queste migliaia, anzi milioni di vittime, ogni traccia del pensiero egizio dalla nostra esistenza.

Leonardo Paolo Lovari

 

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GIULIANO KREMMERZ

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Ciro Formisano, noto pubblicamente col nome iniziatico di Giuliano Kremmerz, nacque a Portici, presso Napoli, l’8 aprile 1861.

Fu avviato agli studi e alla pratica ermetica da Pasquale de Servis (1818-1893) noto negli ambienti iniziatici come “Izar”. Il vecchio e solitario maestro, riconosciuto dai più come un grandissimo iniziato, era affittuario da molti anni presso l’appartamento in cui vivevano i Formisano e si era affezionato molto al piccolo Ciro. Quest’ultimo, raggiunta la maggiore età, fu introdotto da Izar nelle fila del Grande Oriente Egizio, ultima manifestazione di un’antichissima tradizione iniziatica sopravvissuta al trascorrere dei secoli.

Giovanissimo, a soli 17 anni, il Formisano era già in possesso dell’abilitazione all’insegnamento della letteratura italiana, storia e geografia, per la provincia di Napoli.

Conseguito il dottorato in lettere all’Università di Napoli, nel 1883, si dedicò all’insegnamento scolastico e al giornalismo.

Nel 1896 Giuliano Kremmerz fondò la Fratellanza Terapeutico-Magica di Miriam[i]ad esempio delle antichissime sacerdotali isiache egiziane, di cui più recente e nota imitazione è la Rosa+Croce.

Nel medesimo periodo, a proprie spese, iniziò la pubblicazione a fascicoli de “Il Mondo Secreto“, rivista che suscitò molti consensi ma anche molte polemiche. Alcuni iniziati, infatti, ritenevano che la Magia fosse un privilegio riservato a pochi eletti e non tolleravano in alcun modo che venisse propagandata a mezzo stampa.

Giuliano Kremmerz, tuttavia, si era riproposto di affrontare soltanto lo studio e la pratica della Magia Naturale, guardandosi bene dal proporre al grande pubblico tematiche più complesse e riservate. I suoi riferimenti alla Magia Trasmutatoria, infatti, rimasero sempre e comunque degli accenni. Il Maestro non ne parlò mai in modo esplicito.

Con la Fratellanza di Miriam, Kremmerz ristabilì la pratica ermetica in termini terapeutici rendendola così accessibile a tutti. La sua non fu quindi una profanazione ma una ri-velazione.

In tal senso i meriti del Maestro Kremmerz furono molti:

  1. a) Riscattò la Magia da secoli di squallore, ignoranza e oblio, proponendone la teoria e la pratica al grande pubblico in un linguaggio semplice e comprensibile e prendendo nel contempo le distanze dallo spiritismo, la teosofia, ecc., che all’epoca imperversavano.
  2. b) Si adoperò per recuperare e valorizzare la Tradizione Italica difendendola dagli attacchi degli orientalisti.
  3. c) Ristabilì l’insegnamento e la pratica iniziatica fino ai gradini più bassi.

Ciro Formisano, alias Giuliano Kremmerz, si spense a Beausoleil il 7 maggio del 1930. Oggi è ritenuto il più grande maestro di ermetismo del XX secolo.

“[…] Ho fede nella riuscita e nell’unità di questa applicazione visibile delle teorie della scienza sacra o Magia. La nostra fratellanza avrà molti nemici, ma essa è fondata sull’amore del proprio simile, sul disinteresse mondano e sul desiderio di alleviare le pene dei sofferenti; e fino a quando il suo nobile ideale non sarà tradito, avrà aderenti fervidi e successo grande. L’amore del proprio simile è la fonte della solidarietà degli spiriti, in questo albergo di schiavitù della materia e di sonno torbido della coscienza nostra divina.”

“[…] Guai a coloro che seminano la calunnia, che insinuansi come serpenti per avvelenare i fiori delle coscienze pure! – al tribunale del Nergal, Giudice Inesorabile, io deferirò quelli che mi attraverseranno nella mia opera di evangelo e di luce e per la carità che mi unisce ai buoni, ed essi saranno condannati e maledetti dalla loro stessa opera di distruzione, di vilipendio, di morte.”

J.M. KREMMERZ

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Neoplatonismo

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Il Neoplatonismo è una forma di pensiero sviluppatasi dalla metà del secondo secolo d.C. alla metà del sesto secolo, caratterizzato dalla tendenza di rinnovare le concezioni del platonismo e del neopitagorismo. Si svilupparono tre correnti principali: la prima, rappresentata dalla scuola di Alessandria, era orientata verso la speculazione metafisica; la seconda approfondì, soprattutto con la scuola di Pergamo, la tematica religiosa; la terza era orientata verso forme di erudizione. Il neoplatonismo venne ripreso dal Cristianesimo soprattutto per la concezione religiosa, ma la vera rinascita del neoplatonismo si attua nell’Umanesimo.
Ciò è stato possibile grazie alla riunificazione tra la chiesa d’oriente e d’occidente (1453) che portò alla rinascita degli studi dei classici e quindi ad una immigrazione di dotti orientali in Italia e soprattutto a Firenze: basti pensare, ad esempio, a Gemisto Pletone (un maestro orientale) che in una sua opera fissa le differenze fra Platone e Aristotele. Cosa fondamentale è che Gemisto fa coincidere il platonismo con il neoplatonismo, tendenza che risulta dominante in tutto l’Umanesimo e Rinascimento.
Se da una parte nell’Umanesimo e nel Rinascimento si esprime al massimo una concezione naturalistica dell’amore, ispirandosi al modello boccacciano (Poliziano e Lorenzo il Magnifico, per esempio, invitano a cogliere la rosa, cioè a godere i piaceri amorosi) dall’altra fioriscono delle tendenze idealizzanti che si rifanno al neoplatonismo. Vengono esaltati, pertanto, l’amore e la libertà come valori assoluti. Bembo nel Cinquecento, e quindi in pieno Rinascimento, diceva:

“Perciò che è verissima openione, a noi dalle più approvate scuole dagli antichi diffinitori lasciata, null’altro essere lo buono amore che di bellezza disio.”

Questa frase sintetizza al meglio la concezione che i neoplatonici avevano dell’amore: deve essere puro e spirituale e solo basandosi sui sensi più elevati e sul pensiero si giunge alla contemplazione della bellezza ideale; il vero amore, quindi, tende alla perfezione che va ricercata nella contemplazione di Dio: non è l’esaltazione del corpo, ma dell’anima, dell’idea.
Un altro tema fondamentale è, quindi, il rapporto dell’uomo con Dio, tema che è stato trattato particolarmente dai filosofi del primo Umanesimo; Nicola Cusano ne è sicuramente un esempio. Egli nelle “Congetture” afferma che non si può comprendere Dio razionalmente ma intuitivamente, definisce, però, l’uomo un microcosmo, un dio umano ed elabora una teoria panpsichista:

“In ogni creatura l’universo è l’essere di quella stessa creatura e così ogni cosa riceve tutte le cose, in modo che in essa siano il suo stesso contatto […]. Dire quindi ogni cosa è in ogni cosa è lo stesso che dire Dio, mediante tutte le cose è in tutte, e che tutte le cose, mediante tutte, sono in Dio.”

Anche Marsilio Ficino si occupò del rapporto uomo-Dio: egli interpreta la realtà in chiave mistico simbolica, conciliando il platonismo con il cristianesimo. Egli fu con la sua “Theologia platonica de immortalitate animorum” uno dei personaggi più imminenti dell’accademia platonica di Firenze che, sorta grazie alla protezione di Cosimo de’ Medici, è stata uno dei centri più importanti del neoplatonismo.
L’influsso neoplatonico su Ficino si riscontra nella sua concezione dell’uomo e di Dio:

“Dio in quanto centro di tutto in tutte le cose è presente. Dunque la bellezza, colta con i sensi superiori, con la mente, la vista, l’udito, è la manifestazione di Dio. Il vero amante, quindi, è colui che aspira allo splendore di Dio rifulgente nei corpi e la sua ricerca continua di una unione con persona amata non è altro se non il suo desiderio di ” farsi Iddio”.”

Esalta, perciò, la bellezza, la dignità dell’anima umana e la superiorità dell’amore rispetto all’intelletto per raggiungere Dio visto come Uno.
Anche Pico della Mirandola subisce l’influsso del Neoplatonismo, ma lo concilia con l’aristotelismo e la cabbala ebraica. Nel “De hominis dignitate” l’uomo, partecipando della eternità di Dio, è posto al centro dell’universo: è concepito, cioè, come un “Magnum miraculum” al quale Dio dà il dono della libertà e del raggiungimento della Verità.

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Il Neoplatonismo non ha influenzato solo il pensiero letterario, ma anche quello scientifico: infatti l’universo elaborato dai neoplatonici è un universo ordinato in cui c’è armonia tra le parti, è finito, è chiuso ed è costituito da sfere concentriche il cui moto è circolare (il cerchio e la sfera sono il simbolo di massima perfezione). Questa visione di armonia nell’universo è stata ripresa dai massimi esponenti della rivoluzione scientifica quali Copernico, Keplero e Galilei. L’idea di Dio che ne deriva è perciò quella di un Dio che geometrizza tutto e che governa il mondo attraverso un atto d’amore.
La concezione di armonia e perfezione non è esclusiva della letteratura e della filosofia, ma la si può ritrovare anche nella pittura, nella scultura, e nella musica: nella pittura con Botticelli e nella scultura con Michelangelo. In questo contesto l’arte viene perciò intesa come forma di intuizione dell’assoluto.

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L’Umanesimo e il Rinascimento sono stati pertanto contraddistinti dalla reviviscenza del Platonismo. Cosa interessante è che solo nell’Ottocento si è riusciti a distinguere il pensiero di Platone da quello neoplatonico; questo perché i dialoghi platonici, riscoperti nel Quattrocento, venivano letti in funzione dei parametri neoplatonici.
L’età umanistico – rinascimentale è caratterizzata anche dall’influsso dello Stoicismo, dell’Epicureismo e dell’Aristotelismo; Il Neoplatonismo rimase comunque la tendenza preferita, grazie soprattutto al suo rilancio da parte di Cusano e dell’Accademia Platonica.

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Antichi Testi Geroglifici Egizi testi tradotti in inglese per la prima volta

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Testi geroglifici dell’antico Egitto sono stati pubblicati in inglese per la prima volta in un libro da un accademico di Cambridge che ha tradotto testi antichi trovati sui papirio incisi. Il libro è stato pubblicato dalla casa editrice Penguin Classics, che l’ha descritta come una “pubblicazione innovativa.”

Parlando al The Guardian, Toby Wilkinson, l’accademico che ha scritto il libro, ha detto che ha iniziato a lavorare sugli antichi testi egizi perché “c’era una dimensione mancante nel mondo Egizio.”

Perché geroglifici dipendono da immagini e simboli, e pochissimi esperti e specialisti sono stati in grado di leggerli, questa scrittura è rimastala inaccessibile per quasi 3500 e in gran parte trascurata.

“Quello che vi sorprenderà sono le intuizioni dietro la facciata ben nota dell’Egitto,  l’immagine che ognuno ha dei faraoni, la maschera di Tutankhamon e le piramidi”, Wilkinson ha detto al Guardian, che gli antichi scritti sono stati a lungo considerati come “una mera decorazione” o “artefatti” piuttosto che testi.

Il compito è stato impegnativo per l’autore, che ha sottolineato che la ricca lingua Egiziana non è facile da esprimere in Inglese.

“Prendiamo, ad esempio, le parole ‘aa’ e ‘wer’, convenzionalmente tradotte come ‘grande’. Gli egiziani sembrano aver capito una distinzione, quindi un dio è spesso descritto con ‘aa’, ma raramente come ‘wer’, ma è al di là della nostra portata “, ha spiegato Wilkinson.

Il libro raccoglie testi  letterari, come “Il racconto del naufrago” che racconta la storia di un’isola magica, le lettere che risalgono al 1930 a.C. e le iscrizioni ufficiali che registrano una “tempesta catastrofica”.

“Ero qui con i miei fratelli ei miei figli … abbiamo totalizzato 75 serpenti … Poi una stella cadde e furono consumati dalle fiamme … Se invece sei coraggioso e il tuo cuore è forte, abbraccerai i tuoi figli, bacerai tua moglie e veedrai la tua casa”, il racconto recita.

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L’Arca dell’Alleanza si trova in Etiopia?

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I monaci che vivono nella piccola chiesa di Santa Maria di Sion – nota anche come la “cappella dell’Arca” -, nella città sacra etiope di Aksum, non hanno il permesso di superare le barriere che circondano la cappella.

Non possono abbandonare il compito che è stato loro affidato: vegliare sul “Tabot”, come sono note in Etiopia le Tavole della Legge, fino alla loro morte.

Abba Gebre Meskel, 56 anni, lo fa da trent’anni.

Archeologia e leggenda

Secondo il libro dell’Esodo, le Tavole della Legge contengono i dieci comandamenti che Dio ha dato a Mosè sul Monte Sinai. Alcuni fanno risalire l’evento al 1440 a.C..

Le leggende apocrife, parte del patrimonio e della tradizione comune in Nordafrica e in alcune regioni del Medio Oriente, attribuiscono poteri soprannaturali alle Tavole. Intorno a queste leggende se ne sono intrecciate delle altre, inclusa la presunta ossessione nazista per l’occultismo e le reliquie che avrebbe dato a Indiana Jones una delle sue missioni più famose.

La verità, però, è che dopo la distruzione del Tempio di Salomone a Gerusalemme nessuno sa con certezza dove sia finita l’Arca dell’Alleanza. Dopo essere scomparsa senza lasciare traccia – e senza alcuna registrazione conosciuta relativa alla sua ubicazione (assumendo che sia sopravvissuta alla distruzione del Tempio) –, è ancora uno dei più grandi misteri dell’archeologia.

Quasi 45 milioni di cristiani ortodossi etiopi sono tuttavia sicuri che l’Arca dell’Alleanza sia stata portata quasi 3.000 anni fa ad Aksum, nel nord dell’Etiopia, e che da allora sia stata custodita dai monaci nell’umile chiesa di Santa Maria di Sion.

Menelik, il figlio di Salomone

Secondo la tradizione copta, la regina di Saba e il re Salomone avevano un figlio, Menelik I. Fondatore di una dinastia di imperatori salomonici che ha governato l’Etiopia, sarebbe stato incaricato di spostare la preziosa cassa, in oro e legno di acacia.

In un’intervista rilasciata al National Geographic, il diacono del tempio, Zemikael Brhane, ha affermato che “Dio stesso ha scelto questa terra, e Aksum è la nostra città più santa. Gli occidentali richiedono sempre prove visibili, ma noi etiopi non abbiamo bisogno di vedere l’Arca per sapere che è qui. Lo sentiamo, lo sappiamo”.

Chi può entrare nella chiesa?

Nessuno al di là dei monaci guardiani ha il permesso di entrare nella chiesa. Uno dei pochi a cui sia mai stato permesso di parlare ai monaci è lo storico Ephrem Brhane, che si è dedicato a guidare pellegrini, fedeli e turisti di tutto il mondo ad Aksum e riferisce che “Abba Gebre Meskel è convinto al 100% che si tratti dell’Arca autentica. Non solo ha la forma esatta descritta nella Bibbia, ma brilla anche di una luce straordinaria”.

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Si può vedere l’Arca?

Per sette giorni al mese, prima del sorgere del sole, i monaci di Santa Maria di Sion portano una copia dell’Arca in processione. Ogni chiesa ortodossa in Etiopia ha una copia dell’Arca.

In genere, ogni mese assiste alla processione quasi un migliaio di fedeli.

La vecchia cappella di Nostra Signora di Sion sembra aver compiuto il suo dovere: varie crepe nel tetto hanno costretto i monaci ad avviare la costruzione di un nuovo tempio accanto a quello attuale, nel quali i monaci porteranno l’Arca nel massimo segreto.

Nessuno saprà che l’Arca è stata spostata un’altra volta, nel nuovo tempio, fino al giorno dopo l’accaduto.

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Il Ministero delle Antichità lancia la prima mostra permanente delle repliche

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Per superare il calo dei ricavi del turismo, il Ministero delle Antichità ha lanciato la sua prima mostra delle repliche di alta qualità. L’apertura della mostra al Museo Egizio di Tahrir Square, il 14 luglio ha visto presenti molti ambasciatori e consiglieri culturali di un certo numero paesi africani, asiatici e europei. Uno dei punti forti di questa mostra è una rara collezione di papiri del re Cheope che è stata scoperta due anni fa, ma è stato solo ora presentata al pubblico.

“L’obiettivo di questo progetto è quello di creare risorse finanziarie alternative per sostituire ril calo di ricavi del settore del turismo, che sono scesi a meno di 250 milioni ai 1,25 mliardi di EGP prima della rivoluzione del 25 gennaio”, ha detto il supervisore per l’amministrazione e la pubblicazione scientifica presso il Ministero delle Antichità Hussein Abdel Baseer.

Secondo gli ultimi rdati dell’Agenzia centrale per la Pubblica Mobilitazione e Statistica (CAPMAS), il numero di turisti è diminuito da 834,600 turisti nel marzo 2015  a 440.700 del marzo 2016.

“Questo passo sarà anche quello di contribuire ad aumentare la consapevolezza della gente dell’ archeologia Egiziana e le antichità uniche che sono esposte nei nostri musei. Avevamo aperto un negozio di souvenir con alcune repliche dei monumenti originali, ma ha chiuso dopo l’attacco al Museo Egizio il 28 gennaio 2011 “, ha aggiunto.

Il centro di rinascita dell’arte Egiziana e l’unità di produzione delle repliche hanno lavorato per la fornitura di un gran numero di repliche di alta qualità per molti anni, come ad esempio la copia dell’antica collezione trovata nella tomba di Tutankhamon. Il ministero ha pubblicato anche un gran numero di pubblicazioni archeologiche dal 2011 che saranno vendute a prezzi ragionevoli in fiera.

“A differenza di altri ministeri, il Ministero delle Antichità si basa sull’ auto-finanziamento. Questo include i profitti dalla vendita dei biglietti e libri nei musei e caffè dei siti archeologici. Sotto la supervisione del ministro, Khaled El-Anany, stiamo cercando di elaborare idee innovative, al fine di finanziare le nostre diverse istituzioni “, ha detto Abdel Baseer.

Il primo giorno della mostra è stato un incredibile successo. “La mostra è già riuscita ad attirare un gran numero di persone perché vende i pezzi a a prezzi competitivi, ragionevoli rispetto ai negozi privati ​​che si trovano in Khan el-Khalili,” ha detto.

Dal 14 luglio al 29 agosto la mostra permanente offrirà un ulteriore sconto del 20% su tutte le repliche.

Questo non è solo il progetto del Ministero per l’aumento dei ricavi del turismo in Egitto. “Abbiamo intenzione di tenere più esposizioni internazionali per mettere in mostra le antichità originali in Giappone e in Inghilterra. Abbiamo anche altri piani per rinnovare i bar e ristoranti della zona piramidi e aprire nuovi negozi e cinema nel museo della civiltà “, ha detto.

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Una foto, presa dal porta posteriore del museo, mostra una serie di repliche d’oro sul retro di un camion, che ha sollevato ondate di rabbia e malcontento tra gli utenti dei social media che hanno accusato il ministero di “maltrattare i pezzi originali”. Per chiarire l’equivoco, la pagina ufficiale di Facebook del ministero ha postato la foto con una dichiarazione spiegando che ciò che è stato visto erano le repliche.

In questo post, il capo della Sezione Musei presso il Ministero delle Antichità, Elham Salah, ha descritto l’incidente come “meraviglioso”, perché mostra l’efficace lavoro svolto da entrambe le unità di replica. Ha detto che questo dimostra che i moderni artisti Egiziani hanno ereditato le capacità artistiche dei loro antenati.

Esporre i papiri di Re Cheope sarebbe una grande aggiunta al Museo Egizio. Essi sono stati scoperti nella zona di Al-Garf nel 2013 da una missione Egiziana che aveva lavorato lì dal 2011.

“Questi papiri sono una grande scoperta, come documentano gli incidenti di vita quotidiana dei lavoratori che stavano costruendo la grande piramide. Questo prova anche che gli Egiziani sono i gli originali creatori delle piramidi, a differenza delle affermazioni di alcuni storici “, ha spiegato Abdel Baseer.

Più di 20.000 lavoratori hanno partecipato nella costruzione di questa piramide. Questa scoperta dimostra che le piramidi Egiziane non sono solo un miracolo architettonico, ma anche un grande impresa amministrativa. Questi rari pezzi saranno utilizzati per la promozione del turismo e attrarre più archeologi in Egitto.

Un altro obiettivo principale del ministero è quello di promuovere il turismo domestico, sollecitando gli Egiziani a visitare i musei. “Non abbiamo bisogno di dipendere esclusivamente dai turisti stranieri. Catturare l’attenzione dei turisti Egiziani e Arabi contribuirà anche a rilanciare il settore del turismo per un po ‘ “, ha concluso.

Rana Khaled

Fonte: Daily News Egypt

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L’archeoastronomia, la scienza delle meraviglie

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L’archeoastronomia, ovvero lo studio del passato archeologico con gli occhi scientifici degli astronomi, è una di quelle neo-scienze in grado di lasciare a bocca aperta. Piramidi ‘sbilenche’, ma costruite con perfette rappresentazioni del cielo, telescopi di ossidiana e monumentali lastre di pietra bucate per puntare il Sole, sono solo alcune delle meraviglie scoperte grazie a questa scienza, e saranno presentate a Roma in occasione del convegno internazionale della Società Europea per l’Astronomia nella Cultura (Seac), in corso fino al 13 novembre.

archeastron“Forse una delle più rivoluzionarie scoperte degli ultimi anni nello studio dell’antico Egitto – ha spiegato Juan Antonio Belmonte, astronomo dell’Istituto di Astrofisica delle Canarie – arriva dalle piramidi di Snefru, da sempre considerate come un tentativo poco riuscito di piramidi. Studi recenti, integrando archeologia e astronomia, hanno permesso di stravolgere questa visione e dimostrato che quelle opere erano volutamente costruite in quel modo e sono cariche di simbolismo sia politico che astronomico”.

La ‘riscoperta’ di queste piramidi è solo uno dei grandi successi arrivati dallo studio delle relazioni tra le antiche civiltà del passato e il cielo, il tutto grazie all’astronomia e alle moderne tecniche di analisi. “E’ una disciplina – ha spiegato Vito Francesco Polcaro, dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (Iaps) dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) – che aveva avuto un grande sviluppo a inizio del ‘900 ma che è stata poi svergognata dai nazisti che la usarono per giustificare la loro ideologia e dai moltissimi studi anche attuali privi di qualsiasi valore scientifico ma che hanno trovato grande visibilità grazie a un giornalismo di basso livelli”.
callLa precisa e corretta unione tra archeologia e astronomia può diventare uno strumento potentissimo in grado di raggiungere grandi risultati, come capire la funzione delle grandi lastre di pietra ‘bucate’ presenti in tutto il sud Italia, risalenti al II millennio a.C., utilizzate come un perfetto calendario, o ancora la possibilità di usare di pietre di ossidiana come specchi per rudimentali telescopi.

Monia Sangermano
http://www.meteoweb.eu/2015/11/larcheoastronomia-la-scienza-delle-meraviglie/576639/
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MARSILIO FICINO

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Figlio di un medico del Val d’Arno, Marsilio Ficino nacque il 19 ottobre 1433, a Figline. È il massimo rappresentante di quell’Umanesimo fiorentino che, con Giovanni Pico della Mirandola, rimane all’origine dei grandi sistemi di pensiero del Rinascimento e della filosofia del Seicento,basti pensare a un Giordano Bruno o a un Campanella.

Dopo aver studiato sui testi di Galieno, Ippocrate, Aristotele, Averroè ed Avicenna, Ficino fu scelto da Cosimo de’ Medici il Vecchio (chiamato da lui stesso «secondo padre») per riportare a Firenze la tradizione platonica, già reintrodotta da Leonardo Bruni, dal Traversari e dai bizantini Bessarione e Pletone fin dai tempi del Concilio del 1439. A tale missione si aggiunse per Marsilio, nell’arco di trent’anni, l’incarico di tradurre il Corpus Hermeticum, ossia gli scritti del leggendario Ermete Trismegisto, le Enneadi di Plotino e altri testi neoplatonici ancora. Dopo la morte di Cosimo, furono Piero, suo figlio, e poi Lorenzo il Magnifico a sostenere l’opera di traduttore e di pensatore del Ficino. E così, varî incarichi ecclesiastici permisero a Marsilio di dedicarsi interamente tra il 1474 e il 1497 alle traduzioni in latino di Plotino, di Proclo, di Sinesio, di Porfirio, di Giamblico, di Psello e dello Pseudo-Dionigi. L’opera sua di filosofo, invece, egli completò sostanzialmente tra il 1458 e il 1493, con il Di Dio et anima, il De divino furore, il De voluptate, il De Sole, la Theologia Platonica, trattato sistematico sull’immortalità dell’anima, il De vita libri tres sull’igiene fisica e mentale degli studiosi, libro quest’ultimo ricco di spunti magici ed astrologici, derivati da Plotino, da Porfirio, dall’Asclepius e dal Picatrix.

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Una fondamentale importanza nell’opera di questo grande umanista rivestono i numerosi «argumenta» e «commentarii» elaborati in occasione delle sue traduzioni platoniche, tra cui spiccano il commento al Timeo e quello al Parmenide. Mentre il De amore, destinato ad esercitare una formidabile influenza su tutta la letteratura fino all’Ottocento, da Leone Ebreo a Shelley, prendendo spunto dal Convivio di Platone, può pienamente considerarsi un’opera d’autore. Un ulteriore aspetto, determinante per capire la fama europea del Ficino, è costituito dalle sue Lettere, tutte ispirate ad un ideale di saggezza platonica impregnata di forti venature ora poetiche, ora esoteriche e metafische. ( Il reprint delle Epistole, edizione Capcasa 1495 è stato pubblicato dalla Société Marsile Ficin con introduzione di Stéphane Toussaint nel 2011).

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Non è difficile capire come l’opera di Ficino fosse destinata a rivoluzionare una cultura occidentale fino a poco in gran parte estranea al Plotino ed al Proclo «originali», a «tutto» Platone così come al Corpus Hermeticum. Lo si evince da opere assai suggestive quali il De Sole, il De vita e il De amore : il pensiero ficiniano propone una visione dell’uomo con forti affinità cosmiche e magiche, al centro di una «machina mundi» animata, altamente spiritualizzata proprio perché pervasa dallo «spiritus mundi». La funzione essenziale del pensiero umano è di accedere, attraverso una illuminazione immaginativa («spiritus» e «fantasia»), razionale («ratio») e intellettuale («mens») all’autocoscienza della propria immortalità e all’«indiarsi» dell’uomo grazie a quei «signa» e «symbola», segni cosmici paragonabili a geroglifici universali originati dal mondo celeste. L’agire umano in tutte le sue sfumature, artistiche, tecniche, filosofiche e religiose esprime in fondo la presenza divina di una «mens» infinita nella natura, all’interno di una visione ciclica della storia, scandita dal mito del «grande ritorno» platonico.

Marsilio Ficino morì il 1 ottobre 1499 nella sua Firenze, dopo la caduta del Savonarola, mentre l’Europa, di lì a poco, avrebbe riconosciuto la portata epocale del suo pensiero affidato a molte stampe italiane, svizzere, tedesche e francesi delle sue opere.

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Il rifugio di Goethe

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Goethe fuggì in Italia nel 1786. Non poteva aspettare un giorno di più. Ormai era giunto al limite: “ Lo scopo principale del mio viaggio era quello di guarire dai malanni fisici e morali che mi tormentavano in Germania e che alla fine mi avevano tolto ogni energia…” L’Italia salvò Goethe ed è grazie alla sua bellezza naturale ed artistica che il grande artista-iniziato riuscì a ricaricarsi…In un mondo come quello materiale, pieno di vampiri energetici e di ostacoli fisici e psicologici, è fondamentale avere un luogo (esterno o interiore) dove recuperare le proprie energie. Non si tratta di ‘andare in vacanza’; le vacanze sono la libera uscita di una umanità ridotta in schiavitù da un sistema economico-sociale impazzito; Goethe fuggì anche da una parte di sé stesso che lo stava divorando. In Italia riuscì a trasformare quella parte di sé in un nuovo essere umano: “ Anche se sono sempre lo stesso, mi pare di essere cambiato fino al midollo.”

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Trovare il proprio rifugio richiede sempre un viaggio iniziatico, e al termine di un tale viaggio non siamo più gli stessi, siamo cambiati fino al midollo. Accadde anche a Pitagora quando andò in Egitto: “  [Pitagora] passò ventidue anni in Egitto, nei penetrali dei templi, dedito all’astronomia e alla geometria, e intento a farsi adepto, in modo tutt’altro che casuale e superficiale, di tutti i misteri divini.” Tanti anni quelli passati da Pitagora in Egitto, del resto era quasi impossibile per un greco farsi accettare dai sacerdoti egizi e diventare degno di raggiungere i livelli divini dell’anima; dovette affrontare un  lungo periodo di prova e di apprendistato, poi anche Pitagora, come Goethe, fece ritorno. Sì, perché anche il fare ritorno è una prova iniziatica.

Goethe passò in Italia circa due anni e studiò ogni cosa, l’arte e la vita, assorbendo millenni di storia come una creatura marina che assorbe gli elementi per farne una perla: “ …chi ha visto bene l’Italia, e Roma in particolare, non potrà mai diventare del tutto infelice.” C’è un grande segreto in queste parole: una bellezza suprema, se vissuta fino in fondo, ci proteggerà da ogni evento negativo. In fondo Goethe cercò in Italia e a Roma il rifugio nella pura bellezza; l’Italia era davvero un paradiso terrestre, prima della follia industriale, prima dei crimini della cementificazione…e Goethe amava soprattutto il mare: “ Se vedessi il mare ne avresti una grande gioia. Quando dopo un certo tempo  si è fatta l’abitudine non si riesce più a capire come si sia potuto vivere senza averlo veduto, né come si potrà continuare a vivere senza vederlo.”  I paesi mediterranei hanno questa immensa grazia, questo contatto col mare, che è un elemento decisivo per innalzare la coscienza divina, infatti: “sarasām asmi sāgarah” (Bhagavad-gītā, 10, 24), tra le distese d’acqua sono l’oceano; il divino stesso si manifesta nelle grandi realtà naturali e ci purifica; Goethe trovò a Roma la grandezza della Natura e i veri segreti delle Arti plastiche. Comprese di non essere destinato alla pittura, ma disegnò ugualmente centinaia di paesaggi e figure, per disciplina, per imparare a vedere. Ognuno dovrebbe trovare un proprio rifugio, una Roma ideale dove poter ritrovare se stessi, la propria missione.

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Goethe scrive: “ Le antichità, la storia, la letteratura delle diverse arti…[…] vengono praticate  alacremente da singole persone frequentando le quali si apprende quasi senza accorgersene, e così Roma diventa, per chi voglia applicarsi, una vera scuola superiore.” Il nostro rifugio non deve essere un luogo passivo ma di studio superiore; e il vero studio superiore accade naturalmente, per osmosi, ‘quasi senza accorgersene’.  Goethe assimilò tutto ciò che poteva, in modo vitale, con gioia; così un luogo diventa un rifugio che nessuno può toglierci, poiché il lavoro compiuto in esso appartiene solo a noi ed è unico. Anche se Goethe dovette tornare a Weimer una Roma ideale rimase sempre con lui, perenne, intatta, raggiungibile col pensiero e col cuore. Nelle sue conversazioni con Eckermann Roma sarà sempre una ‘leggenda’, un luogo del mito, e quindi dell’anima. Questo dovremmo trovare per avere una vita felice, un luogo che sia per noi un luogo dell’anima: un paese, una città, un castello…qualcosa che protegga i nostri sogni da qualsiasi incubo.

  Goethe mostrò anche nel suo Faust l’importanza iniziatica di avere un proprio rifugio, un luogo inaccessibile agli altri:

Sempre più in alto devo salire,

sempre più in alto devo guardare!

Ora  so dove sono:

in mezzo all’isola, sono,

in mezzo al paese di Pèlope,

congiunto al mare come alla terra!

  

 L’anima, finalmente consapevole di sé, ha compreso i propri poteri divini; ogni dio crea il proprio mondo, il proprio spazio; e Goethe creò la sua Roma interiore, e di essa divenne il Re, il monarca assoluto. Proprio questo esprime, in realtà, il ritratto di Tischbein dove Goethe appare come un sovrano tra le antiche rovine…

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 Il pittore ha colto lo stato d’animo sovrano che Goethe stava cercando da una vita e che a Roma realizzò. Spetta ad ognuno di noi diventare sovrani di uno spazio reale e simbolico, interiore ed esteriore. Se non troviamo la nostra Roma allora dobbiamo sforzarci di crearla… D’Annunzio lo fece col Vittoriale, Miller con Parigi, Rilke con Duino; non ci sono limiti creativi per la nostra coscienza e ogni coscienza ha il potere di creare uno spazio e di governarlo. La fisica ha scoperto tardi ciò che questi grandi poeti già sapevano: materia e spazio dipendono dallo sguardo dell’anima. Più l’anima cresce e più il suo sguardo detta legge sull’universo che la circonda. Ed è una legge di armonia e bellezza, non la legge dei dittatori, mossi solo dalla loro paranoia…

Valentino Bellucci