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Il fascino dell’antico Egitto nel mondo del gioco

Il tema dell’antico Egitto è uno dei più diffusi

nei giochi di casinò e nelle slot machine:

attualmente, nei migliori casinò online trovi centinaia di giochi e slot ambientati in questa terra ricca di suggestioni e tesori sepolti. Si tratta di giochi avvincenti che presentano personaggi e simboli unici, caratterizzati da un particolare alone di mistero.

Nell’articolo di oggi approfondiremo proprio il tema dell’Egitto che da sempre affascina il mondo del gioco.

L’Egitto nella cultura popolare

Ricco di misteri e culla del fertile Nilo, fin dall’antichità l’Egitto è uno dei luoghi più seducenti della storia. Di fronte a un culto dei morti tanto misterioso quanto affascinante, alle Piramidi e alle enormi ricchezze nascoste tra le dune del deserto, è impossibile sottrarsi al richiamo di questa cultura.

Sono trascorsi circa 2.000 anni da quando l’antica Roma iniziò a conoscere da vicino la cultura egizia, durante un periodo di conflitti e guerre civili. Un esempio significativo di questo fenomeno fu la costruzione della Piramide Cestia, edificata tra il 18 e il 12 A.C.

Molto spesso, negli anni, il cinema e la cultura popolare hanno impiegato continui richiami alla mitologia egizia, contribuendo a conferirle una patina di mistero con un tocco di azione – soprattutto grazie ai numerosi protagonisti di avventure cinematografiche alla ricerca delle immense ricchezze dei Faraoni.

Per comprendere questa fascinazione di lungo corso possiamo guardare al culto dei morti praticato nell’antico Egitto: al tempo, infatti, la convinzione che i beni materiali potessero essere utilizzati nel Regno dei Defunti spingeva gli Egizi a seppellire i Faraoni assieme alle loro inestimabili ricchezze.

Il successo dell’Antico Egitto nelle slot machine

E il mercato del gioco ha prontamente seguito la scia della popolarità dell’antico Egitto nella cultura di massa, sviluppando una ricca varietà di titoli ambientati in questa terra. Alcuni dei più grandi successi del settore, come le slot Mega Moolah, Or d’Egipte, Tomb of Misir e molti altri giochi, sono accomunati dalla presenza di simboli quali piramidi, mummie, Faraoni e divinità egiziane.

Non è un caso, infatti, che i principali operatori del gioco presentino nella propria offerta numerosi titoli ambientati nel contesto dell’Antico Egitto, come giochi di casinò o appunto slot machine in grado di coinvolgere il giocatore sin da subito in un’avventura ricca di mistero e di vincite inattese!

FONTE: La Gazzetta dell’Emilia

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Dante e i fedeli d’Amore

Già nel secolo scorso e nei primi decenni di quello presente la questione della possibile appartenenza di Dante ad un’oscura setta esoterica, i Fedeli d’Amore, ha fatto versare fiumi di inchiostro, senza peraltro raggiungere che modesti risultati.

Questo articolo riassume brevemente i termini del problema, per suggerire infine alcune considerazioni che, lungi dal presentarsi come conclusive, potranno spronare il lettore ad approfondire una tematica affascinante attraverso cui è possibile vedere sotto un’angolazione completamente diversa lo svolgimento della nostra letteratura dalle origini fino al XIV secolo.

Chi sono i Fedeli d’Amore? Dall’ esame semantico-letterale degli scritti di Dante e dei maggiori rimatori del suo tempo l’espressione parrebbe designare semplicemente coloro che, sulla scia della lirica provenzale trobadorica, riconobbero nell’amore una forza spirituale trasfigurante capace di far trascendere la condizione umana, fino a raggiungere la conoscenza e l’amore di Dio. Tramite di questa purificazione progressiva è la donna, non più oggetto di passioni contingenti, di carnali concupiscenze, ma specchio di virtù e celestiale bellezza su cui si riflette, trasformandosi e pur sempre a se stessa rimandando, la bellezza e la bontà divina.

Fedeli d’Amore sono dunque gli Stilnovisti tutti, ma non solo loro: chiunque abbracci questa accezione nuova della parola “amore” in cui si sottende un’esperienza intima dell’essere fondamentalmente religiosa. Di qui una poesia con stilemi ed immagini in comune: luoghi retorici, sottigliezze allegoriche, simbolismi allusivi e inquietanti, lessico oscuro. Siamo d’altronde ancora nel medio evo e non è luogo comune ricordare che nell’età di mezzo tutto o quasi è allegoria, simbolismo, parabola, e al tempo stesso giuoco stilistico, squisita variazione sui medesimi temi, ricerca ossessiva di perfezione.

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Ma c’è qualcosa di più, anche se non molto: i Fedeli d’Amore erano forse una confraternita. Giovanni Villani nella sua “Cronica” (1308) ne fa un laconico accenno ricordando che “una nobile corte” vestita di bianco sfilò in corteo dietro “un signore detto dell’Amore” durante la festa di San Giovanni svoltasi a Firenze nel giugno del 1283 (Lib. VII, cap. LXXXIX).

È bastato questo, nell’assenza totale di altra documentazione storica, a far scatenare fin dal secolo scorso, in un tentativo parossistico di scoprire nuove chiavi interpretative dell’opera dantesca, la ridda di ipotesi che ha trovato poi strenui difensori e implacabili nemici. Cominciò Gabriele Rossetti, il poeta-patriota risorgimentale padre del più noto Dante Gabriele Rossetti. Per lui, che scorge sotto il lessico amoroso della Vita Nuova, della Commedia e dell’opera di altri autori coevi un messaggio politico altrimenti intrasmettibile, finzione poetica e stilemi retorici tradiscono un linguaggio segreto, adoperato da una setta (quella appunto dei Fedeli d’Amore) animata da intenti ghibellini e patriottici con finalità unificative della penisola, a fronte delle tendenze frazionistiche manifestate per tornaconto egemonico dalla Curia romana. Il Rossetti redige anche un primo elenco (poi via via accresciuto dai suoi epigoni) del gergo cifrato impiegato dai membri della congrega: “Amore” è il nome convenzionale del sodalizio e al tempo stesso la devozione per la “Sapienza Santa”; “vita” è l’ideale imperiale; “morte” la corrente guelfa, ecc. L’anno della sua morte (1854) un suo ammiratore e corrispondente, Eugene Aroux, pubblica, attingendo con disinvoltura alla ancora inedita Beatrice di Dante, l’opera tendenziosa Dante héretique revolutionnaire et socialiste, in cui, spingendosi ben oltre il maestro, ipotizza non solo un’appartenenza del poeta fiorentino all’Ordine del Tempio (in forza dell’accenno polemico nella Commedia all’annientamento dei Templari da parte di Filippo il Bello e Clemente V), ma un esplicito rapporto con l’eresia catara (la cui polemica antipapale, i motivi pauperistici e il rigore religioso ricordano talvolta certe posizioni dantesche). Ma ahimè, appena si nominano Templari e Catari spuntano subito fuori gli occultisti, strato più basso della peraltro non disprezzabile, “cultura esoterica”. È così che la questione di Dante e dei Fedeli d’Amore arricchendosi di nuove congetture unite a scoperte strabilianti passa nelle mani di Joséphin Peladan (detto Sar Mérodack), fondatore nel 1888 col marchese Stanislas de Guaita e Oswald Wirth dell’Ordine Cabbalistico della Rosa + Croce, poi di Alphonse Louis Constant (in arte Eliphas Levi), che nelle loro opere estendono ancora l’equazione nei termini seguenti: Fedeli d’ Amore = Catari = Gioanniti = Cabalisti = Gnostici = Ermetisti = Templari = Rosa + Croce. Quelli che seguiranno, sulla traccia di ermeneutiche “esoteriche”, in Italia e fuori, non faranno – tranne rare eccezioni – che accrescere la confusione, contraddicendosi a vicenda e interpretando fuggevoli indizi ciascuno secondo la propria ottica precostituita. Così per il Valli, il Ricolfi, l’Alessandrini, seguaci delle tesi rossettiane, i Fedeli d’Amore (e fra loro Dante) esprimono tendenze filo- imperiali patriottiche con coloriture dottrinali vicine ai Templari e ai futuri Rosa + Croce, ma senza alcun connubio con l’eresia catara. Per l’Evola, che ne accetta il carattere di “milizia ghibellina” (con dei “distinguo” per Dante), essi costituiscono una corrente esoterica superiore iniziaticamente al Catarismo e al cristianesimo in genere, ma già degradata rispetto all’ethos templare, sia a causa del carattere estatico-contemplativo, sia leI ruolo centrale assegnato alla donna vista ora come simbolo dell’Intelletto ora della Sapienza santa, secondo moduli platonizzanti ,ovvero prettamente gnostici (Pistis Sophia). Da Guénon e dal Burckhardt viene invece rilevata l’ascendenza islamica (specificamente sufica con qualche venatura cabalistico-ermetica) nell’opera di Dante: i Fedeli d’amore, data per scontata la filiazione dai Templari, avrebbero avuto nozione, tramite quest’ordine a lungo soggiornante nel Vicino Oriente, delle dottrine esoteriche arabo-ebraiche. Il Reghini individua nella setta una matrice politica ultra-ghibellina, fa di Dante un imperialista pagano e scorge nel linguaggio “segreto” dei fedeli d’amore una concezione iniziatica di stampo pitagorico (la simbologia numerica nella commedia) con forti componenti anticristiane (contrariamente a Guénon) e proto-massoniche (contrariamente all’Evola).

Denis de Rougemont, infine, riesumando le teorie dell’Aroux e del Péladan, anche se con atteggiamento possibilista venato di eclettismo, la versione di un Dante eretico, permeato come gli altri suoi confratelli dalla dottrina albigese, per lui, sulla base dell’assioma non del tutto infondato Trovatori=Catari, anche il grande fiorentino, conoscitore delle tesi provenzali sull’amor cortese, poteva esser rimasto influenzato dall’eresia che nel XII secolo percorse e contaminò tutto il sud della Francia come una lebbra.

Nella molteplicità degli approcci critici come nella diversità dei loro esiti, emergono alcuni punti fermi sui quali tutti questi autori sembrano concordare: I Fedeli d’amore costituivano una società segreta impiegante un linguaggio che si articolava su un duplice binario semantico: quello essoterico della poesia e trattatistica amoroso-galante del tempo, e quello esoterico del messaggio iniziatico-politico per la cerchia ristretta di chi sapeva intendere. Alla setta sarebbero appartenuti non solo Dante, Cavalcanti, Guinizelli, Cino da Pistoia ma anche Dino Compagni, Giovanni Villani, Francesco da Barberino, Cecco d’ Ascoli; come dire il fior fiore della cultura letteraria italiana dal XIII al XIV secolo.

Che ipotesi del genere non fossero completamente infondate e prive di agganci plausibili, è dimostrato dal fatto che lo stesso mondo accademico, nella persona di alcuni suoi rappresentanti, non rimase indenne da certe suggestioni. Solo per rimanere all’Italia, basti ricordare nel secolo scorso Francesco Paolo Perez, titolare di letteratura italiana a Palermo, poi senatore e ministro, che nel 1865 diede alle stampe la Beatrice Svelata, e Giovanni Pascoli, che influenzato dalle sue letture mistico-occultistiche pubblicò nel 1898 Minerva oscura, poi, successivamente, Sotto il velame e La mirabile visione. Ma l’ambiente universitario ortodosso, in mancanza di una documentazione storica probante, posto di fronte alla scarsa filologia (surrogata da un’abbondante ideologia) di molti fra questi esegeti, se lascia cadere nel silenzio le “scoperte” degli esoteristi su Dante e i Fedeli d’Amore (a volte anche per sostanziale ignoranza di alcuni testi in materia) non può tollerare che fra le sue stesse file si coltivino fumose fantasticherie, Avviene così che alla presentazione del volume Minerva oscura all’Accademia dei Lincei, presidente di commissione il Carducci, questi deplorerà le presunte novità scoperte dal Pascoli rimproverandogli la scarsa conoscenza della vasta critica esistente sull’opera dantesca. E il Croce, sempre implacabile contro ogni tendenza misticheggiante, bollerà il secondo volume pascoliano Sotto il velame (fra i più cari al cuore del suo autore) come “singolare aberrazione”.

Non è possibile qui dare conto di tutte le obiezioni che possono muoversi alle interpretazioni cosiddette “esoteriche” della questione, né degli spunti intuitivi felici che a volte le hanno contrapposte alla critica letteraria ufficiale. Ci limiteremo perciò a qualche cenno sufficiente a giustificare almeno le nostre conclusioni provvisorie.

Innanzitutto è opportuno scindere in qualche misura la corrente dei Fedeli d’ Amore (se pure furono mai una setta vera e propria) dallo stesso Alighieri.

Su una tale organizzazione infatti non esistendo, come avvertimmo agli inizi, pressoché alcuna documentazione, ogni ipotesi, ove trovi appigli plausibili, appare lecita. Non è però lecito operare connubi o congetturare filiazioni impossibili in presenza di dati storico-dottrinali incontestabili. Se i Fedeli d’Amore risentirono l’influsso dell’eresia albigese e adottarono la concezione catara sull’ eros e la donna, molto difficilmente potevano al tempo stesso incorporare la regola templare misogina e guerriera.

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È vero che molti Catari furono strenui combattenti, ma in funzione essenzialmente difensiva, allorché si avvidero nella morsa inesorabile che andava stringendosi intorno a loro. Per l’Ordine del Tempio invece l’esercizio delle armi rivestì sempre il carattere di difesa del più debole, mentre l’esperienza bellica secondo l’ethos eroico-cavalleresco fu intesa sempre come via di realizzazione spirituale. È vero che sia i Catari quanto i Templari furono accusati di eresia, ma lontane sono le radici delle rispettive eterodossie: manichea, estatica, orientaleggiante la prima; sufica, operativa, ermetico-alessandrina la seconda. Va inoltre ricordato a tutti i sostenitori della matrice ghibellina dei Fedeli d’Amore, che parimenti sostengono l’influenza albigese e templare sulla setta, l’origine propriamente “guelfa” di ambedue questi fenomeni. Se il catarismo si sviluppò su istanze pauperistiche antitemporali più che realmente anticristiane, e l’alleanza con alcuni grandi feudatari di Provenza e linguadoca fu dettata prevalentemente dal confluire di interessi comuni in quella contingenza storica più che da un effettivo ghibellinismo, l’Ordine del Tempio, come tutti sanno, ebbe il suo patrono in S. Bernardo di Chiaravalle e l’investitura, i vari benefici, i riconoscimenti pontifici non confortano certo una tesi filo imperiale nei suoi riguardi: Rapportando poi la questione a Dante ed esaminandola alla luce di certi passi della Commedia, le posizioni di molti interpreti “esoterici” divengono insostenibili o comunque altamente improbabili.

L’Alighieri innanzi tutto afferma al di fuori di ogni ragionevole dubbio la sua avversione ad ogni eresia, particolarmente a quella albigese, sia facendo rivolgere da S. Bonaventura di Bagnoregio una fervida lode a S. Domenico per la sua opera di difesa dell’ortodossia contro il catarismo {Par., XII, vv. 97-102), sia rivolgendosi egli stesso con trepida devozione a Folchetto da Marsiglia (Par, IX, vv. 73 sgg.) insigne trovatore provenzale divenuto nel 1205 vescovo di Tolosa e successivamente distintosi come uno dei più feroci persecutori, insieme con l’ordine cistercense, dell’eresia contro cui mosse l’esercito guidato da Simone di Montfort.

Viceversa, molti di coloro che i rossettiani, l’Aroux e il Péladan annoverano tra i Fedeli d’Amore vengono inequivocabilmente condannati da Dante e collocati nell’inferno. Così Cavalcante Cavalcanti, e potenzialmente il figlio di lui Guido (pur fra gli amici più cari al poeta) che Beatrice “ebbe a disdegno”, sono posti nel VI cerchio con gli eresiarchi.

Lì, negli avelli infuocati, giace anche l’imperatore Federico II, alla cui corte, a detta di alcuni esegeti, sarebbe stata tenuta a battesimo la setta “ghibellina” del Fedeli d’Amore. Né sorte molto diversa vien fatta toccare al suo segretario Pier delle Vigne, secondo i rossettiani il vero protettore di quell’associazione segreta: mutato in pruno sconta la sua pena nel II girone del VII cerchio in mezzo ai suicidi.

Quanto a coloro che sostengono, come il Guénon e il Burckhardt, la filiazione templare di Dante, viene naturale porre un quesito: se l’Ordine Templare, come è ormai assodato da molteplici studi critici, possedeva profonde conoscenze alchemiche, tanto da esprimere nel simbolo del Baphomet una vera sintesi dei principi della Scienza Ermetica, come è possibile che un suo affiliato accettasse la versione più superficiale e riduttiva di essa, propria degli esegeti profani? dante infatti colloca nella X bolgia gli alchimisti facendoli rappresentare dai due falsificatori di metalli Griffolino d’Arezzo e Capocchio da Siena.

A tutti quelli, infine, che, in assenza di prove documentali accrescono la schiera ghibellina e anticattolica dei Fedeli d’amore con personaggi illustri contemporanei di Dante, suggeriamo almeno di espungere il nome di Francesco da Barberino: questi infatti dal 1327 (anno del rogo di Cecco d’Ascoli) al 1333 figura fra gli ufficiali che affiancano l’inquisitore di Firenze nel suo “ardente” ufficio.

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Bastano questi pochi esempi a far avvertire come, appena si esamini la questione affrontata qui brevemente, anche sulla griglia di elementi eterogenei, essa paia sbriciolarsi e quasi dissolversi fra le mani del ricercatore. E del resto, se si scinde – come noi abbiamo suggerito – la figura dell’Alighieri dal misterioso movimento dei Fedeli nel tentativo di sanare almeno qualche macroscopica aporia, cosa resta realmente, visto che proprio in Dante ricorre più frequentemente l’espressione “fedele d’ Amore” col relativo lessico? Resta, a nostro giudizio, soltanto ,”l’esoterismo di Dante”, con questo termine intendendo però non le straordinarie conoscenze iniziatiche attribuite dagli occultisti a un Dante templare’ Maestro dei Misteri’.

Piuttosto un Dante attraverso la cui immensa dottrina si filtra la complessa cultura classica e medioevale, fatta anche di astrologia, magia, alchimia, come di mitologia, teologia, filosofia. Un Dante (e qui la documentazione storica esiste) in relazione col poeta-cabalista ebreo Salomon ben Jekuthiel (1270-1330) e a conoscenza, lo ha dimostrato inoppugnabilmente il filologo Miguel Asin Palacios, del Kitab el-isrâ e delle Futûhât el-Mekkiyah di Mohyiddin ibn Arabi, opere anteriori alla Commedia di circa ottanta anni, la cui influenza sul poema è difficilmente negabile. Dante conosceva certamente anche il Roman de la Rose con tutte le sue allusioni alchemiche, e non è un caso che alcuni gli attribuiscano la paternità del poemetto anonimo Il Fiore che di quello è un rifacimento ridotto.

Il problema è sempre vedere fino a che punto egli abbia aderito a certe proposizioni ed istanze, o se ne sia semplicemente servito per elaborare un pensiero nuovo, talvolta addirittura antitetico. Giustamente è stato osservato che il grande fiorentino

…spicca assai più come un poeta e come un combattente che non come l’affermatore di una dottrina priva di compromessi

e che

…malgrado tutto Dante abbia avuto come punto di partenza la tradizione cattolica, che si sforzò di innalzare ad un piano relativamente iniziatico…

Certo le suggestioni, quando si affrontano argomenti del genere, sono molte e pericolosamente seducenti. È stata sollevata l’ipotesi che Dante potesse aver mutuato certe conoscenze esoteriche da Brunetto Latini autore del Livre du Tresor in lingua d’oil e del “Tesoretto” in volgare. Ma se così fosse – ci chiediamo – perché mai Brunetto è posto dal suo illustre discepolo nel III girone del VII cerchio infernale, tra la schiera infamante dei sodomiti?

Luciano Pirrotta

Dante e i fedeli d’Amore

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L’Antico Egitto – Tra misteri e scoperte

Sabato 12 Ottobre 2019 a Cavriglia (Ar)

Una giornata interamente dedicata all’Egitto:
“L’Antico Egitto: tra misteri e scoperte”
ospite lo scrittore inglese best-seller Adrian Gilbert.

Mattino: ore 9.00 Auditorium del Museo Mine a Castelnuovo dei Sabbioni incontro riservato ai ragazzi delle scuole
Programma:
– Saluti istituazionali dell’Amministrazione Comunale
– Introduzione all’Antico Egitto a cura di Leonardo Lovari
– “Piramidi, geometria e connessioni stellari” di Adrian Gilbert

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Pomeriggio: ore 18.00 Teatro Comunale di Cavriglia (Piazza Berlinguer) incontro pubblico gratuito e aperto a tutti.
Il programma:
– Saluti istituazionali dell’Amministrazione Comunale
– Presentazione Harmakis Edizioni e la Stele del Sogno a cura di Leonardo Lovari
– “Osiride, Stelle, Piramidi e resurrezione” di Adrian Gilbert

Ingresso Gratutito

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Il Documento di Damasco

 

Il Documento di Damasco è una delle opere trovate in molti frammenti e copie nel le grot te del Qumran, e come tale è considerato parte dei manoscritti non biblici di Qumran. La versione attualmente più accreditata è che i rotoli sono correlati ad una comunità Essena che viveva in quell’area nel I secolo a.C.
Anche prima della scoperta dei manoscritti di Qumran nel ventesimo secolo, quest’opera era nota agli studiosi, dato
che due manoscritti furono trovati nel tardo XIX secolo nella collezione Genizah del Cairo, in una stanza adiacente
alla sinagoga Ben Ezra a Fustat. Questi documenti si trovano nella Cambridge University Library e sono datati rispettivamente nel X secolo e XII secolo.
A differenza dei frammenti trovati a Qumran, i documenti del Cairo sono completi in molte parti, dunque di vitale
importanza per la ricostruzione del testo. Il titolo del documento proviene dai numerosi riferimenti a Damasco che
esso contiene. Il modo in cui Damasco è trattato nel documento fa supporre che non sia un riferimento letterale a Damasco in Siria, ma va inteso o geograficamente come Babilonia, o come Qumran stesso. Se il riferimento è simbolico, probabilmente usa il linguaggio biblico che troviamo in Amos 5,27:

«Perciò io vi farò andare in cattività al di là di Damasco, dice l’Eterno, il cui nome è DIO de gli eserciti.» ( Amos 5,27)

Damasco fece parte di Israele sotto il regno di Re Davide, ed il Documento di Damasco esprime la speranza escatologica del ripristino della monarchia di Davide.
Il documento contiene un riferimento criptico ad un Maestro di Giustizia. Egli viene trattato a seconda dei rotoli di
Qumran come una figura del passato, del presente o del futuro. Il Maestro di Giustizia ha un ruolo importante
nel Documento di Damasco, ma nessun ruolo nella Regola della Comunità, un altro documento trovato tra i rotoli
di Qumran e questo suggerisce una differenza al momento della stesura di ogni documento. Il Documento di Damasco descrive il gruppo nel quale esso è stato scritto come privo di leader nei 20 anni precedenti alla venuta del Maestro di Giustizia che ha stabilito le regole del gruppo.
Solitamente gli storici fanno risalire il Maestro al 150 a.C. circa, visto che il documento afferma che egli arrivò 390
anni dopo (un periodo che difficilmente è preciso) l’Esilio babilonese.

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La Guerra nell’Antico Egitto

Gli antichi Egiziani, grazie alla posizione geografica della loro terra, non erano un popolo guerriero, come lo furono altri dell’area medio – orientale. Nei primi periodi della loro civiltà ebbero milizie interne con compiti difensivi e offensivi riguardanti piccole rivalità tra distretti del paese: le uniche azioni guerresche erano dirette verso la Libia e la Nubia, principalmente per razziare e deportare schiavi per la mano d’opera.

Fu dopo la cacciata degli Hyksos che l’Egitto compose un nuovo quadro delle forze militari sotto il profilo logistico e di armamenti. L’esperienza della guerra contro il governo asiatico fu la molla che fece scattare l’epopea imperiale ed espansionistica rivolta principalmente verso la zona dell’Asia Minore, giungendo fino all’Eufrate e all’area meridionale dell’attuale Turchia.

In questo libro si sono voluti analizzare e descrivere i vari aspetti dell’arte militare degli antichi Egiziani, toccando anche il modo di pensare dei sovrani e dei soldati nei riguardi delle azioni guerresche e strategiche, a parte la connessione tra economia e guerra. Ci si troverà di fronte a degli usi che, se da un lato ci possono lasciare inquieti,
dall’altro sono manifestazioni dei modi di combattere di quei tempi.

A quell’epoca il coraggio del combattente era dimostrato nello scontro ravvicinato in cui entravano in ballo la determinazione e armi micidiali che in genere producevano ferite e morti atroci. La morte a distanza era poi inviata con armi da lancio, come frecce, lance, giavellotti e fionde, mentre la morte per calpestamento era provocata
dall’impatto tremendo con i carri da guerra trainati dalle pariglie di cavalli lanciati al galoppo sfrenato.

La guerra fu, è e sarà sempre un’azione tragica che spezza generazioni e getta nel disordine e nell’indigenza le nazioni: la Storia ha il compito di insegnare … ma l’uomo è un allievo dalla memoria labile!

Pietro Testa

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2000 a.C: Distruzione Atomica

Quaranta anni fa un saggio eccezionale fece la sua comparsa nelle librerie. 2000 A.C.: DISTRUZIONE ATOMICA (Ed. SugarCo, Milano) dell’anglo-indiano William David Davenport e dell’italiano Ettore Vincenti presentava infatti uno sconvolgente scenario inedito per l’Italia parlando delle ancestrali tradizioni letterarie e storiche indo-ariane sui mitici “Vimana”, i “carri celesti“ dei “divini” Deva, già timidamente divulgate prima da Peter Kolosimo e poi da Roberto Pinotti. L’India antica sarebbe stata al centro di scontri fra mezzi spaziali di origine extraterrestre, e la città di Mohenjo Daro nella valle dell’Indo sarebbe stata bombardata da ordigni termici distruttivi di potenza e caratteristiche analoghe – seppur diverse – a quella degli ordigni termonucleari.

Ma la immatura scomparsa di entrambi gli Autori impedì che la loro indagine venisse approfondita come avrebbe meritato. Antesignano del tema e creatore del termine “paleoastronautica” nell’ambito della “teoria degli Antichi Astronauti”, lo ha fatto nel 1988 Roberto Pinotti, che da ricercatore aerospaziale ha ufficialmente presentato al congresso della Federazione Astronautica Internazionale riunito in India a Bangalore la prima memoria accademica sul tema, recandosi altresì in Pakistan a Mohenjo Daro per verificare in loco l’indagine di Davenport e Vincenti.

Questa riedizione del loro libro del 1979 mira a valorizzare il lavoro originale di entrambi, che autori impreparati hanno indirettamente cercato di fare proprio tentando di appropriarsi di parte del loro materiale, lasciato da Davenport a Pinotti perché lo valorizzasse. Cosa che quest’ultimo – anche mediante il suo recente best seller VIMANA, GLI UFO DELL’ANTICHITA’ con la bella prefazione di Robert Bauval (UNO Editori, Torino) – ha continuato a fare confermandone ulteriormente oggi la validità con questa nuova edizione commentata realizzata dalla Harmakis Edizioni del saggio originale dei due ricercatori, arricchita di doverosi aggiornamenti e approfondimenti che ne onorano la memoria e l’eccezionale apporto pionieristico, lungi dal sensazionalismo e dagli impropri interventi di commentatori improvvisati solo interessati a sfruttarne la memoria.

Roberto Pinotti                  

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Il Popolo Copto

Il termine Copto deriva dalla parola greca Aigyptos, che a sua volta derivava da “Hikaptah”, uno dei nomi della prima capitale dell’antico Egitto, Menfi. L’uso moderno del termine “Copti” indica i Cristiani egiziani come pure l’ultima espressione della antica scrittura della lingua egizia. Inoltre esso descrive l’arte e l’architettura sviluppatesi quale espressione della nuova fede.

La Chiesa copta si basa sull’insegnamento di San Marco, il quale portò la Cristianità in Egitto durante il regno dell’imperatore romano Nerone nel primo secolo, una dozzina di anni dopo l’ascensione del Signore. Egli fu uno dei quattro Evangelisti e quello che scrisse il più antico Vangelo canonico. La Cristianità si diffuse in Egitto in meno di mezzo secolo dall’arrivo di San Marco ad Alessandria, come appare chiaro dagli scritti del Nuovo Testamento trovati a Bahnasa, nel medio Egitto, che datano intorno all’anno 200 d.C., e da un frammento del Vangelo di S. Giovanni, scritto in lingua copta, scoperto nell’alto Egitto e datato alla prima metà del secondo secolo. La Chiesa copta, che ora ha più di diciannove secoli, fu argomento di molte profezie dell’antico Testamento. Il profeta Isaia dice, nel capitolo 19, verso 19: “In quei giorni sorgerà un altare al Signore nel mezzo della terra d’Egitto ed una colonna al Signore ai suoi confini“.

Sebbene pienamente integrati nel corpo della moderna nazione egiziana, i Copti sono sopravvissuti quale forte entità religiosa orgogliosa del suo contributo al mondo cristiano. La Chiesa copta si considera come un forte difensore della fede cristiana. Il Credo niceno, recitato in tutte le chiese del mondo, ebbe quale autore uno dei suoi figli favoriti, Sant’Atanasio, Vescovo di Alessandria per 46 anni, dal 327 al 373 d.C. Tale situazione è ben meritata, poiché dopotutto l’Egitto fu il rifugio che la sacra Famiglia cercò nella sua fuga dalla Giudea : “Quando egli si levò, egli prese il Bambino e sua Madre di notte e partì per l’Egitto, e lì rimase fino alla morte di Erode, cosicché si compisse ciò che era stato detto dal Signore tramite il profeta, “Fuori dall’Egitto Io chiamerò mio Figlio“ [Matteo, 2:12-23].

Sono molti i contributi della Chiesa copta alla Cristianità. Fin dall’inizio essa ebbe un ruolo centrale nella teologia cristiana, e specialmente nel proteggerla dalle eresie gnostiche. La Chiesa copta produsse migliaia di testi, studi biblici e teologici, che costituiscono risorse importanti per l’archeologia. La sacra Bibbia venne tradotta in lingua copta nel secondo secolo. Centinaia di scribi trascrissero copie della Bibbia ed altri testi liturgici e teologici. Attualmente in tutto il mondo biblioteche, musei ed università posseggono centinaia e migliaia di manoscritti copti.

La Scuola catechetica di Alessandria fu la più antica scuola catechetica del mondo. Subito dopo la sua fondazione da parte dello studioso cristiano Pantaneo intorno al 190 d.C., la scuola di Alessandria divenne la più importante istituzione di insegnamento religioso della Cristianità. Molti eminenti vescovi da molte parti del mondo ricevettero istruzione in quella scuola da parte di studiosi quali Atenagora, Clemente, Didimo ed il grande Origene, considerato il padre della teologia ed attivo anche nel campo del commento e degli studi comparativi della Bibbia. Origene scrisse oltre 6.000 commentari alla Bibbia, oltre al suo famoso Hexapla. Molti studiosi, come S. Girolamo, visitarono la scuola di Alessandria per scambiare idee e comunicare direttamente con i suoi studiosi. Lo scopo della scuola di Alessandria non si limitava ai soli argomenti teologici, poiché lì si discuteva anche di scienze, matematica e studi umanistici: il metodo del commento tramite domanda e risposta nacque lì e, 15 secoli prima di Braille, venivano usate da studenti ciechi tecniche di intaglio nel legno, per leggere e scrivere. Il Collegio teologico della Scuola catechetica di Alessandria venne ricostituito nel 1893. Oggi possiede campus ad Alessandria, al Cairo, New Jersey e Los Angeles, dove seminaristi ed altri uomini e donne qualificati discutono riguardo ad argomenti di teologia cristiana, di storia e lingua ed arte copta, insieme a canto, musica, iconografia, tessitura ecc

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Il monachesimo nacque in Egitto e fu strumentale alla formazione del carattere di sottomissione ed umiltà della Chiesa copta, grazie all’insegnamento ed agli scritti dei grandi Padri del deserto egiziani. Il monachesimo ebbe inizio negli ultimi anni del III secolo e fiorì nel IV. S. Antonio, il primo monaco cristiano al mondo, era un copto dell’alto Egitto. S. Pacomio, che stabilì le regole del monachesimo, era un Copto. E pure copto era S. Paolo, il primo anacoreta al mondo. Altri famosi Padri del deserto sono S. Macario, S. Mose il nero e S. Mena il meraviglioso. I più vicini Padri del deserto sono l’ultimo vescovo Cirillo VI ed il suo discepolo Mena Abba Mena. Dalla fine del IV secolo sorsero centinaia di monasteri e migliaia di celle e grotte sparse nelle alture egiziane. Molti di questi monasteri sono ancora fiorenti ed a tutt’oggi hanno nuove vocazioni. Tutto il monachesimo cristiano deriva, direttamente o indirettamente, dall’esempio egiziano: S. Basilio, l’organizzatore del movimento monastico in Asia minore, visitò l’Egitto intorno al 357 d.C. e la sua guida venne seguita dalle Chiese orientali; S. Girolamo, che tradusse la Bibbia in latino, venne in Egitto intorno al 400 e lasciò note delle sue esperienze nelle sue lettere; S. Benedetto fondò monasteri nel VI secolo sul modello di S. Pacomio, ma in forma più rigorosa. Ed innumerevoli pellegrini visitarono i “Padri del deserto” ed emularono le loro vite spirituali, disciplinate, Ci sono anche le prove che i Copti ebbero missionari in nord Europa. Un esempio è Saint Moritz della Legione tebana che fu coscritto in Egitto per servire sotto la bandiera romana e finì per insegnare il Cristianesimo agli abitanti delle Alpi svizzere, dove una cittadina ed un monastero che contiene le sue reliquie, alcuni dei suoi libri e dei suoi oggetti presero il nome da lui. Un altro santo della Legione tebana è S. Vittore, conosciuto tra i Copti come “Boktor”.
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Sotto l’autorità dell’Impero d’Oriente di Costantinopoli (in opposizione all’Impero d’Occidente di Roma), i Patriarchi ed i vescovi di Alessandria ebbero un ruolo di guida della teologia cristiana. Essi erano invitati ovunque a discutere circa la fede cristiana. S. Cirillo, vescovo d’Alessandria, fu a capo del Concilio ecumenico che si tenne ad Efeso nel 430 d.C. Si disse che i vescovi della Chiesa di Alessandria nulla facevano se non trascorrere il loro tempo in incontri. Comunque, il ruolo di guida non andò più bene nel momento in cui i politici iniziarono ad immischiarsi delle questioni religiose: Tutto ebbe inizio quando l’imperatore Marciano interferì con materie religiose della Chiesa: La risposta di S. Dioscoro, il vescovo d’Alessandria che in seguito venne esiliato, fu chiara: “Tu non hai nulla a che fare con la Chiesa“. Queste motivazioni politiche divennero ancora più evidenti a Calcedonia nel 451, quando la Chiesa copta ingiustamente accusata di seguire gli insegnamenti di Eutiche, che credeva nel monofisismo. Questa dottrina afferma che il Signore Gesù Cristo ha solo una natura, quella divina, e non due, quella umana insieme alla divina.

La Chiesa copta non ha mai creduto nel monofisismo nel modo che fu presentato al Concilio di Calcedonia! In quel concilio il monofisismo significava il credere in una natura. I Copti credono che il Signore è perfetto nella Sua divinità, e che Egli è perfetto nella Sua umanità, ma che Sua divinità e la Sua umanità furono unite in una natura chiamata “la natura del verbo incarnato”, il che fu reiterato da S. Cirillo di Alessandria. I Copti, così, credono in due nature, “umana” e “divina”, che sono unite in una senza “mescolanza, senza confusione, e senza alterazione” (dalla dichiarazione di fede alla fine della liturgia divina copta). Queste due nature “non si separarono per un momento o per un batter d’occhio” (ancora dalla dichiarazione di fede alla fine della liturgia divina copta).

La Chiesa copta non fu compresa nel V secolo al Concilio di Calcedonia. Forse il concilio non comprese correttamente la Chiesa, ma essa volle isolare la Chiesa, per isolarla ed abolire l’indipendente vescovato egiziano, che affermava che la Chiesa e lo Stato avrebbero dovuto essere separati. A dispetto di tutto ciò la Chiesa copta è rimasta molto rigorosa e ferma nella sua fede. Se ci fu una cospirazione delle Chiese per esiliare la Chiesa copta quale punizione per il suo rifiuto alle influenze politiche, se il vescovo Dioscoro non fece abbastanza per puntualizzare che i Copti non erano monofisiti, la Chiesa copta ha sempre sentito come un dovere di riconciliare le differenze “semantiche” tra tutte le Chiese cristiane. Questo è stato espresso in modo appropriato dal 117° successore di S. Marco, papa Shenouda III : “Per la Chiesa copta la fede è più importante di ogni cosa, e gli altri devono capire che la semantica e la terminologia sono di poca importanza per noi”. Durante questo secolo la Chiesa copta ha avuto un grande ruolo nel movimento ecumenico. La Chiesa copta è uno dei fondatori Del Concilio Mondiale delle Chiese. E’ membro di tale Concilio dal 1948. La Chiesa copta è membro del Concilio Africano di tutte le Chiese (AACC) e del Concilio delle Chiese del Medio Oriente (MECC). La Chiesa ha un ruolo importante nel movimento cristiano nella conduzione di dialoghi che aiutino a risolvere le differenze teologiche tra Cattolici, Ortodossi orientali, Presbiteriani e Chiese evangeliche.

Forse la maggior gloria della Chiesa copta è la sua croce. I Copti sono orgogliosi delle persecuzioni che dovettero sostenere fin da quell’8 maggio del 68 d.C., quando il loro Patrono S. Marco fu trucidato il lunedì di Pasqua dopo essere stato trascinato per i piedi dai soldato romani lungo tutte le strade ed i vicoli di Alessandria. I Copti vennero perseguitati da quasi tutti i governanti dell’Egitto. I loro sacerdoti furono torturati ed esiliati anche dai loro fratelli cristiani dopo lo scisma di Calcedonia del 451, ed in seguito alla conquista araba dell’Egitto nel 641. Allo scopo di enfatizzare l’orgoglio nella loro croce, i Copti hanno adottato un calendario, chiamato il Calendario dei Martiri, che fa partire la sua era il 29 agosto del 284 d.C., a ricordo di coloro che morirono a causa della loro fede sotto l’imperatore romano Diocleziano. Questo calendario è ancora oggi usato in tutto l’Egitto dai contadini per seguire il corso delle varie stagioni agricole, e nel Lezionale della Chiesa copta.

Nei quattro secoli che seguirono la conquista araba dell’Egitto, la Chiesa copta in genere fiorì e l’Egitto rimase in sostanza cristiana. Questo è dovuto all’estendersi della fortunata posizione di cui i Copti godettero presso il Profeta dell’Islam, che aveva una moglie egiziana (l’unica delle sue mogli che generò un figlio), che richiese speciale benevolenza verso i Copti: “Quando conquisti l’Egitto, sii gentile con i Copti, perché essi sono tuoi protetti e amici e parenti“. Così i Copti ebbero il permesso di praticare liberamente la loro religione e furono largamente autonomi, stabilito che essi continuassero a pagare una tassa speciale chiamata “Gezya”, che li qualificava quali “Ahl Zemma”, protetti. Coloro che non potevano provvedere al pagamento di questa tassa si trovavano di fronte alla scelta o di convertirsi all’Islam o di perder i loro diritti civili di “protetti”, che in alcuni casi significò essere uccisi. I Copti, a dispetto delle addizionali leggi suntuarie che vennero loro imposte sotto la dinastia Abbaside, nel 750-868 e 905-935, prosperarono e la loro Chiesa godette della maggiore era di pace. La letteratura conservata nei monasteri datante a prima dell’VIII fino all’XI secolo mostra che non ci furono interruzioni nell’attività degli artigiani copti, quali tessitori, rilegatori in cuoio, pittori e falegnami. Durante quel periodo la lingua copta restò la lingua della terra e fu solo nella seconda metà dell’XI secolo che iniziarono ad apparire i primi manoscritti liturgici bilingui Copto-Arabi. Uno dei primi testi completi in arabo è il testo del XIII secolo di Awlaad el-Assal (figlio del Produttore di Miele), nel quale le leggi, le norme culturali e le tradizioni dei Copti di questo perodo cardine, 500 anni dopo la conquista islamica, sono illustrate. L’adozione dell’arabo quale lingua usata quotidianamente dagli Egiziani fu tanto lenta che ancora nel XV secolo al-Makrizi concludeva che il copto era ancora ampiamente in uso. Ancora oggi la lingua copta continua ad essere la lingua liturgica della Chiesa.

copto4L’aspetto cristiano dell’Egitto cominciò a mutare dall’inizio del secondo millennio, quando ai Copti, oltre alla tassa “Gezya”, vennero imposte specifiche limitazioni, alcune delle quali erano gravi ed interferivano con la loro libertà di culto. Per esempio, vi furono restrizioni sul restauro di chiese antiche e sulla costruzione di nuove, sulla testimonianza in tribunale, sul pubblico comportamento, sull’adozione, sull’eredità. sulle pubbliche attività religiose, e sull’abbigliamento. Lentamente ma costantemente, con la fine del XII secolo, l’aspetto dell’Egitto divenne da quello di un Paese principalmente cristiano a quello di un Paese principalmente musulmano, e la comunità copta occupò una posizione inferiore e visse come nell’attesa dell’ostilità musulmana, che periodicamente esplodeva in violenza. C’è da notare che il benessere dei Copti era in relazione con il benessere dei loro governanti. In particolare, i Copti soffrirono più in quei periodi in cui le dinastie arabe entravano in crisi.

La posizione dei Copti cominciò a migliorare nel XIX secolo sotto la stabilità e la tolleranza della dinastia di Mohammed Ali. La comunità copta smise d’esser considerata dallo stato come una unità amministrativa e, dal 1855, il principale marchio d’inferiorità dei Copti, la tassa “Gezya”, venne estinta, e poco tempo dopo i Copti iniziarono a servire nell’armata egiziana. La rivoluzione egiziana del 1919, il primo esempio di identità egiziana nei secoli, si innalza come una testimonianza dell’omogeneità della moderna società dell’Egitto, con insieme sia Musulmani che Copti. Oggi, questa omogeneità è ciò che mantiene la società egiziana unita contro le intolleranze religiose dei gruppi estremisti, che occasionalmente sottopongono i Copti a persecuzioni ed al terrore. Martiri dei giorni odierni come padre Marcos Khalil servono a ricordare il miracolo della sopravvivenza dei Copti.

Nonostante le persecuzioni, la Chiesa copta come istituzione religiosa non è mai stata controllata o ha potuto controllare il governo in Egitto. La lungamente perseguita posizione della Chiesa in merito alla separazione tra Stato e religione proviene dalle parole del Signore Gesù Cristo stesso, quando egli chiese ai suoi seguaci di sottomettersi ai loro governanti: “Date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio” [Matteo 22:21]. La Chiesa copta non ha mai opposto resistenza con la forza alle autorità o agli invasori e non si è mai alleata con alcuna potenza, dal momento che le parole del Signore Gesù Cristo sono chiare:”Riponi la tua spada al suo posto, poiché chi impugnerà la spada di spada perirà” [Matteo 22:21]. La miracolosa sopravvivenza della Chiesa copta fino al giorno d’oggi è la prova vivente della validità e della saggezza di questi insegnamenti.

Oggi (mentre viene scritto questo documento nel 1992) ci sono oltre 9 milioni di copti (su una popolazione di circa 57 milioni di Egiziani) che pregano, partecipano alla comunione in messe quotidiane in migliaia di chiese copte in Egitto. A costoro s’aggiungono altri 1,2 milioni di emigrati copti che praticano la loro fede in centinaia di chiese negli Stati Uniti, in Canada, Australia, gran Bretagna, Francia, Germania, Austria, Olanda, Brasile ed in molti altri Paesi in Africa e Asia. In Egitto i Copti vivono in ogni provincia e non c’è provincia dove rappresentino la maggioranza. I tesori culturali, storici e religiosi sono diffusi in tutto l’Egitto, anche nell’ oasi più remota, l’oasi di Kharga, nel deserto occidentale. Come individui i Copti hanno raggiunto prestigiosi traguardi accademici e professionali in tutto il mondo. Uno di queste persone è il Dr. Boutros Boutros Ghali, sesto Segretario generale delle Nazioni Unite (1992-1997), Un altro è il Dr. Magdy Yakoub, uno dei più famosi cardiologi al mondo.

I Copti osservano sette sacramenti canonici: battesimo, cresima (conferma), eucaristia, confessione (penitenza), ordini, matrimonio e unzione dei malati. Il battesimo è imposto poche settimane dalla nascita per immersione completa del corpo del neonato tre volte dentro acqua consacrata per l’occasione. La conferma si compie immediatamente dopo il battesimo. Una confessione regolare con un sacerdote personale, chiamato il padre confessore, è necessaria per ricevere l’eucaristia. E’ usanza che un’intera famiglia si avvalga dello stesso padre confessore, facendone così un consigliere di famiglia. Di tutti i sette sacramenti, il solo matrimonio non può essere celebrato in un periodo di digiuno. La poligamia è illegale, anche se riconosciuta dalla legge civile della terra. Il divorzio non è consentito se non in caso di adulterio, annullamento dovuto a bigamia o altre circostanze estreme, che vanno analizzate a cura di uno speciale concilio di Vescovi. Il divorzio può essere richiesto tanto dal marito quanto dalla moglie. Il divorzio civile non è riconosciuto dalla Chiesa. La Chiesa ortodossa copta non bada ad alcuna legge civile del paese finché essa non interferisce con i sacramenti della Chiesa. La Chiesa non ha (ed attualmente rifiuta di assumerne) posizione ufficiale riguardo ad alcuni decreti controversi (ad esempio l’aborto). Mentre la Chiesa ha istruzioni chiare riguardo certe materie (ad esempio l’aborto interferisce con il volere di Dio), la posizione della Chiesa è che tali problemi sonooio di Vescovi. Il divorzio puùc.net,  meglio risolvibili caso per caso per il tramite del padre confessore, piuttosto che avere un canone che ritenga peccato tali pratiche.

Esistono tre principali liturgie nella Chiesa copta: la Liturgia secondo S. Basilio, vescovo di Cesarea; la Liturgia secondo S. Gregorio di Nazianzio, vescovo di Costantinopoli; e La liturgia secondo S. Cirillo I, il 24° vescovo della Chiesa copta. Il grosso della Liturgia di S. Cirillo deriva da quella, in greco, usata da S. Marco nel I secolo. Fu tramandata dai vescovi e dai sacerdoti della chiesa finché non fu tradotta nella lingua copta da S. Cirillo. Oggi, queste tre Liturgie, con alcune aggiunte (ad esempio le intercessioni), sono ancora in uso; la Liturgia di S. Basilio è quella più comunemente usata nella Chiesa ortodossa copta.

Il culto dei Santi è espressamente proibito dalla Chiesa; comunque, il chiedere la loro intercessione (per esempio la preghiera mariana) è centrale in ogni servizio copto. Ogni chiesa copta assume il nome di un santo patrono. Tra tutti i Santi la Santa Maria Vergine (Theotokos) occupa un posto speciale nel cuore di ogni Copto. Le Sue ripetute e quotidiane apparizioni in una chiesetta nel distretto del Cairo di Elzaytoun per più di un mese nell’aprile del 1968, furono testimoniate da migliaia di Egiziani, tanto Copri quanto Musulmani, e vennero anche diffuse sulle TV internazionali. I Copti celebrano sette sante feste maggiori e sette sante feste minori. Le maggiori feste commemorano l’Annunciazione, il Natale, la Teofania, la Domenica delle Palme, la Pasqua, l’Ascensione la Pentecoste. Il natale si celebra il 7 di gennaio. Per la Chiesa copta la Resurrezione di Cristo ha tanta importanza quanto il Suo Avvento, se non di più. La Pasqua solitamente cade la seconda domenica dopo il primo plenilunio in primavera. Il calendario copto dei Martiri è pieno di altre festività commemoranti solitamente il martirio di santi popolari (ad esempio S. Marco, S. Mena, S. Giorgio, S. Barbara) della storia copta.

I Copti hanno periodi di digiuno non uniformati alle altre comunità cristiane. Su 365 giorni all’anno, i Copti digiunano per più di 210 giorni. Durante il digiuno non è consentito alcun prodotto animale (carne, pollame, pesce, latte, uova, burro ecc.). In più, nessun cibo o bevanda d’alcun genere possono essere assunti tra l’alba ed il tramonto. Queste severe regole di digiuno sono solitamente moderate dai sacerdoti su base individuale per provvedere a malati e deboli. La Quaresima, conosciuta come “il Grande digiuno”, è massicciamente osservato dai Copti. Comincia con un digiuno di una settimana pre-quaresimale, seguito da un digiuno di 40 giorni commemorante il digiuno di Cristo sulla montagna, seguito dalla Settimana santa (chiamata Pascha), la settimana più sacra del calendario copto, il cui vertice è la Crocifissione il venerdì santo e la fine la gioiosa Pasqua. Altri periodi di digiuno della Chiesa copta sono l’Avvento (festa della Natività), il digiuno degli Apostoli, il digiuno della Santa Vergine Maria ed il digiuno di Niniveh.
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Il sacerdozio della Chiesa ortodossa copta è guidato dal papa di Alessandria e include vescovi che sovrintendono i sacerdoti ordinati nelle loro diocesi. Sia il papa che i vescovi devono essere monaci; essi sono tutti membri del Santo Sinodo (Concilio) Ortodosso Copto, che si riunisce regolarmente per soprintendere a materie di fede e guidare la Chiesa. Il papa della Chiesa copta, sebbene altamente considerato da tutti i Copti, non gode di alcuna condizione di supremazia o infallibilità. Oggi ci sono oltre 60 vescovi copti che governano le diocesi egiziane come a Gerusalemme, in Sudan, Africa occidentale, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. La diretta responsabilità pastorale delle Congregazioni copte in ciascuna di queste diocesi ricade sui sacerdoti, che devono essere sposati e devono frequentare la Scuola catechetica prima d’essere ordinati.

Esistono due ordini non clericali che partecipano alla tutela degli affari della Chiesa. Il primo è un Concilio laico copto eletto dal popolo, che comparve sulla scena nel 1883 per offrire un’apertura tra la Chiesa ed il Governo. Il secondo è un Comitato congiunto laico-clericale, che apparve sulla scena nel 1928 per sovrintendere e monitorare le dotazioni della Chiesa copta secondo le leggi egiziane.

Oggi, in ogni chiesa copta nel mondo, i Copti pregano per la riunione di tutte le Chiese cristiane. Essi pregano per l’Egitto, per il suo Nilo, per le sue messi, per il suo Presidente, per il suo esercito, per il suo governo e soprattutto per il suo popolo. Essi pregano per la pace nel mondo e per il benessere dell’umanità.

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LE CONNESSIONI STELLARI NELLA PIRAMIDE DEL RE KHEOPE

Premessa

Il re Kheope è un sovrano della IV dinastia e probabilmente regnò fra il 2551 e il 2528 a.C. Il suo nome è famoso poiché legato al suo sepolcro che fa parte delle sette meraviglie del mondo. Questa tomba che ha affascinato l’umanità di tutti i tempi, ancora oggi è oggetto di studi, indagini e ricerche.

La piramide del sovrano, dai rapporti matematici molto semplici e lineari, è sempre stata un miraggio di astrazione, di filosofia, di teosofia, di scienza iniziatica dei misteri, di astrologia, di pretese virtù guaritrici, di ufologia … e altro, che è superfluo riportare.

Sebbene l’uomo abbia cercato in questa piramide la risposta a sogni e speranze, essa si drizza ancora oggi eterna e maestosa, con le due sorelle, ai limiti del deserto libico, testimonianza di un progetto e di una realizzazione che glorificava il nome e il ricordo del suo grande re. Un progetto nato e maturato nello spirito di un progettista, di un architetto che mise le sue conoscenze, il suo ragionamento e il proprio cuore al servizio dei voleri del suo divino signore.

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La piramide è legata alle sue altre funzioni, cioè il tempio cultuale, la rampa cerimoniale e il tempio a valle (di cui purtroppo non resta traccia). Il compito e dovere dello studioso, e non solo, dovrebbe essere di considerare questo capolavoro (e gli altri esempi architettonici dell’antico Egitto) come un’opera di piccoli grandi uomini che utilizzarono abilmente le risorse della loro epoca e la loro esperienza di costruzioni per produrre il primo esempio di sepolcro monumentale, espressione pietrificata di un’idea religiosa, cultuale e di proprietà terrestre e celeste del sovrano.

Nella piramide di Kheope non ci aspetti di trovare dei misteri teosofici, né delle speculazioni mentali, né ineffabili teorie. Ciò sarebbe un atto d’irriverenza verso degli uomini che, con la loro saggezza muta per lo scorrere dei millenni, ci hanno lasciato in eredità un esempio unico di tecnologia, razionalità e religione in rapporto all’ambito culturale della loro epoca.

La camera funeraria e la ‘camera della regina’

La camera funeraria custodisce il sarcofago reale e non possiamo avere alcun dubbio sulla destinazione di quest’ambiente. La ‘camera della regina’, al contrario, ha sempre sollevato le ipotesi più disparate sulla sua funzione, e lo conferma il suo appellativo.camerafuneraria

Sappiamo che questi locali sono dotati ciascuno di una coppia di canali ognuno con una propria inclinazione. Nella camera funeraria i due condotti sono di fronte e la loro parete occidentale coincide con una scansione sottomodulare. In pianta il canale meridionale è ortogonale alla parete della camera; quello settentrionale parte ortogonalmente alla parete, per poi continuare obliquamente verso ovest dopo tre gomiti, per evitare la muratura della camera delle ‘saracinesche’. Nella ‘camera della regina’ la parete orientale dei due canali coincide con la metà delle murature nord e sud e in pianta sono ortogonali a queste.

Nella camera funeraria il condotto sud puntava alla ε Orionis e quello nord all’α Draconis. Nella ‘camera della regina’ il canale meridionale era orientato verso l’α Canis Majoris (Sirio) e quello settentrionale verso la β Ursae Minoris. Poiché sappiamo che le concezioni funerarie dell’epoca a proposito del destino del re nell’aldilà erano

Nella ‘camera della regina’ la parete orientale dei due canali coincide con la metà delle murature nord e sud e in pianta sono ortogonali a queste.

Nella camera funeraria il condotto sud puntava alla ε Orionis e quello nord all’α Draconis. Nella ‘camera della regina’ il canale meridionale era orientato verso l’α Canis Majoris (Sirio) e quello settentrionale verso la β Ursae Minoris. Poiché sappiamo che le concezioni funerarie dell’epoca a proposito del destino del re nell’aldilà erano essenzialmente a carattere stellare e celeste, è bene percorrere questa pista per provare a risolvere il problema della destinazione della ‘camera della regina’. Poiché le uniche fonti religiose a nostra disposizione sono i Testi delle Piramidi, una piccola indagine nelle loro preghiere, o formule, potrebbe lasciare intravedere una soluzione al problema.

Nei Testi delle Piramidi si notano dei legami molto evidenti tra il re e le costellazioni di Orione e del Canis Major.

Orione è associato a Osiride e al sovrano defunto, il suo seme efficace (§ 186); Orione, padre degli dei, è garante per il re (§ 408); il re è come Orione, è concepito con lui e compie il ciclo celeste come questo (§ 820-821); il sovrano è la grande stella compagna di Orione, attraversa il cielo con lui poiché è anche suo figlio (§ 882-883). Si prega affinché sia posta una scala che servirà al re per giungere da Orione (§ 1717); il sovrano sale su una scala per raggiungere la costellazione (§ 1763). Si augura al re di essere abile e di ascendere al cielo che lo farà nascere come Orione (§ 2116) che del resto è suo padre (§ 2180), e anche suo fratello (§ 2126).

Nei Testi delle Piramidi si notano dei legami molto evidenti tra il re e le costellazioni di Orione e del Canis Major.

Orione è associato a Osiride e al sovrano defunto, il suo seme efficace (§ 186); Orione, padre degli dei, è garante per il re (§ 408); il re è come Orione, è concepito con lui e compie il ciclo celeste come questo (§ 820-821); il sovrano è la grande stella compagna di Orione, attraversa il cielo con lui poiché è anche suo figlio (§ 882-883). Si prega affinché sia posta una scala che servirà al re per giungere da Orione (§ 1717); il sovrano sale su una scala per raggiungere la costellazione (§ 1763). Si augura al re di essere abile e di ascendere al cielo che lo farà nascere come Orione (§ 2116) che del resto è suo padre (§ 2180), e anche suo fratello (§ 2126).

Tralasciando considerazioni più approfondite e dettagliate su questi passaggi che esulerebbero dall’argomento di questo contributo, possiamo dedurre che il defunto re è figlio, fratello e compagno di Orione e che in ogni modo è in contatto continuo con questa costellazione strettamente legata a Osiride. Dunque il canale meridionale della camera funeraria, puntato alla ε Orionis, poneva il defunto regale in diretto contatto con questa. Nello stesso tempo il condotto settentrionale legava il re al polo celeste e, dunque, alle Stelle Circumpolari, zona importante per la residenza del sovrano defunto.

Prima di affrontare il discorso su Sirio, possiamo notare che nei Testi delle Piramidi la costellazione del Canis Major e la stella Sirio sono chiamate rispettivamente Sopedet (spdt) e Soped (spd), come è stato osservato da N. Beaux.

Il re è fatto passare all’orizzonte orientale, poiché Canis Major è sua sorella e suo figlio all’alba (§ 341); il re è un Vivente, figlio di Canis Major, mentre le due Enneadi si purificano nell’Orsa Maggiore, l’immortale. Canis Major fa poi in modo che il re possa volare in cielo con gli dei, suoi fratelli, mentre Nut, Iside e Nephtis accolgono ed onorano il regale defunto (§ 458-459). Iside, sorella del re (= Osiride) viene in gioia da lui che la pone sul suo pene affinché il suo seme possa penetrare in lei che è efficace come Canis Major: è Horus-Sirio che nascerà poi, in quanto Horus che è in Canis Major (§ 632).

cheope2Qui vi è il riferimento alla nascita di Horus (=Sirio), di Orione (=re defunto) e di Iside (Canis Major), atto aderente alla realtà astronomica nella quale l’apparizione di Sirio era annunciata da ζ e δ Orionis. Notevole è il fatto delle tre stelle della Cintura d’Orione, cioè ζ, ε e δ sono allineate quasi con Sirio, vertice del triangolo α-β Or.-α C. Maj. e che la retta α C. Maj.-ε Or. è quasi l’altezza di questo triangolo isoscele: dunque una stretta relazione tra Sirio e il centro della Cintura d’Orione. A quest’idea è collegato anche il passaggio (§723):

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Tu raggiungerai (sAH) il cielo come Orione (sAH) e il tuo ba sarà efficace (spd) come Canis Major (spdt).

Il re defunto raggiunge dalla camera funeraria Orione, mentre il suo ba sarà efficace come la costellazione del Canis Major alla quale appartiene Sirio, e alla quale si può arrivare anche dalla ‘camera della regina’. Ancora un’altra formula (§2126) recita:

 Notare il gioco d’assonanze e di significati.

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Questo tuo fratello è Orione, questa tua sorella è Canis Major, ed egli (il re) siederà tra essi e in questa terra eternamente!

e la formula (§1707):

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Tua sorella è Canis Major, tuo figlio è il Dio Mattutino ed è tra essi che tu siederai sul Grande Trono.

Anche qui sono evidenti i collegamenti tra Orione, Canis Major, Sirio, il Dio Mattutino (?) e l’idea del regnare ancora in terra, concetto relativo al pensiero dell’epoca.

Il canale settentrionale della ‘camera della regina’ puntava verso β Ursae Minoris che fa parte delle Stelle Circumpolari. Nel passaggio(§1123) è detto:

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Possa egli (il re) ascendere dunque al cielo tra le Stelle Imperiture, sua sorella è Canis Major, la sua guida è il Dio Mattutino (Sirio?) e essi presentano la mia mano verso il Campo delle Offerte.

cheope3La relazione è molto chiara e non ha bisogno di commenti. La β Ursae Minoris è una stella alla quale puntavano la discenderia della piramide del re Jedef-Ra e il nome del monumento è (la piramide) ‘Jedef-Ra-è-la-stella-sehed (sHd)’. Probabilmente questo era il nome dell’astro, e doveva avere una certa importanza se le discenderie delle piramide di Khefren (I progetto), di Ny-user-Ra, di Unas, di quella rituale dei Teti, e della piramide di Pepy II furono orientate verso questo astro. Nella camera vi è poi una nicchia a filari gradienti che, alla luce di quest’indagine, poteva ospitare la statua del ka del sovrano.  Si può concludere, dunque, che la ‘camera della regina’ era destinata a residenza del ka del sovrano perché luogo di arredi sacri e di andirivieni del ba del re defunto in collegamento con Sirio ed una particolare stella circumpolare: possiamo considerare questo ambiente un serdab. La camera funeraria era collegata a Orione (=Osiride) e al polo celeste (α Draconis), la più importante fra le stelle circumpolari. Da ciò deriva l’interdipendenza tra la camera funeraria e la camera del ka-ba, padre-figlio, identica a quella stellare Orione-Canis Major.

Pietro Testa

VIAGGIO nell’ALDILÀ dell’ANTICO EGITTO 

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DEI e SEMIDEI dell’ANTICO EGITTO

Testa Dei E Semidei bassa

L’antico Egitto ha lasciato segni tangibili e incisivi della sua ‘religione’ attraverso i monumenti e gli scritti. I templi abbondano d’immagini a bassorilievo e a tutto tondo, dipinte con vivaci colori, complete di didascalie e iscrizioni. Le tombe regali e nobiliari non sono da meno e sono queste che ci hanno tramandato figure e testi di grande finezza artigianale. Gli scritti funerari e magici sono degli esempi unici di miniaturistica grafica delle entità divine e di descrizioni dell’aldilà.

Non si può negare l’esorbitante numero di divinità che si presenta agli occhi dello spettatore che ancora oggi può restare disorientato. Questa folla di entità non è però frutto di fantasia sfrenata o ottusa, ma risultato di un ragionamento logico che ha le sue basi nella preistoria. Attraverso il cammino intellettuale della civiltà egiziana, il ricordo è divenuto mito e ha acquistato una sua completa organizzazione nella sistemazione e ordinamento delle manifestazioni del dio creatore.

Qui entriamo in un dominio delicato che ha qualche punto in comune con il nostro modo di pensare, ma che pure è da esso differente: il pensiero speculativo.

Nell’antico Egitto, e in genere nei popoli dell’antico Medio Oriente, la speculazione trovava illimitate possibilità di sviluppo, non essendo ristretta alla ricerca di una verità di carattere scientifico, e quindi disciplinato. Non esisteva una netta distinzione tra natura ed essere umano. I cosiddetti popoli primitivi e gli antichi consideravano l’essere umano come un tassello facente parte del regno della natura: due mondi non contrapposti e che non richiedevano distinti modi di conoscenza. Se per noi il mondo fenomenico è innanzitutto un ‘che cosa?’, per l’antico è un ‘Tu’.

Avviene che ogni esperienza di un ‘Tu’ diventa individuale, e tali esperienze sono delle azioni che si configurano in narrazione: questa diventa un “mito” in luogo di analisi e conclusioni. Il mito non serviva a divertire né a spiegare determinati fenomeni, bensì a esporre certi avvenimenti in cui era impegnata l’esistenza stessa dell’uomo, la sua esperienza diretta di un conflitto di forze ostili e benefiche.

Le immagini del mito non sono metafora ma un velo accuratamente scelto per rivestire un pensiero astratto. Le immagini non sono separate dal pensiero, poiché rappresentano la forma in cui l’esperienza è diventata autocosciente. Gli antichi, dunque, esprimevano il loro pensiero emotivo in termini di causa ed effetto, spiegando i fenomeni in un ambito temporale, spaziale e numerico. Gli antichi, si badi bene, sapevano ragionare logicamente, altrimenti non avremmo le grandi civiltà che conosciamo: semplicemente spesso un’attitudine puramente intellettuale male si adattava alle esperienze della realtà, senz’altro più significative.

Per l’uomo antico il contrasto tra realtà e apparenza non aveva significato. È il caso dei sogni, tenuti in grande considerazione, e di entità ibride e non, ispirate al dubbio dell’ignoto fisico. Lo stesso avveniva per una mancata distinzione tra mondo dei vivi e dei defunti, poiché i morti entravano nella realtà umana dell’angoscia, della speranza e del risentimento.

Di dizionari sulle divinità dell’antico Egitto ve ne sono parecchi (la maggior parte in lingua straniera) dai più dettagliati ai generici. Il mio intento vorrebbe essere quello di dare al lettore un quadro mediamente dettagliato delle divinità importanti, secondarie, dei semidei e dei ‘demoni’ che popolavano la quarta dimensione dell’antico Egitto: il tutto nella nostra lingua italiana, ancora (semi) sconosciuta nel campo dell’egittologia.

Tratto da: DEI e SEMIDEI dell’ANTICO EGITTO di Pietro Testa – Harmakis Edizioni

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Lo Scomparso Tempio del Sole della regina Nefertiti

Kom el-Nana, è il sito di un santuario solare della regina Nefertiti, è uno degli ultimi complessi sopravvissuti per il culto di Akhetaton. Jacquelyn Williamson parla del suo lavoro ricostruendo i rilievi del muro dal sito e la sua precaria condizione.

A partire dalla fine degli anni ’80 e terminato negli anni ’90, Barry Kemp e i membri del team della società esplorativa dell’Egitto hanno scavato un’area denominata Kom el-Nana, situata in una delle sezioni più meridionali di Tell el-Amarna. Sono stati in grado di documentare un grande complesso murario della dimensione di cinque campi da calcio americano con molte diverse all’interno. Oltre a una birreria su scala industriale (una delle poche ad Amarna), esistevano due edifici in pietra e diversi edifici in mattoni, uno dei quali probabilmente costituisce una struttura di finestra apparente. Una delle caratteristiche più intriganti del sito è tuttavia il fatto che è diviso per il centro da un muro che corre da ovest ad est, tagliando il recinto quadrato in metà diseguali. Il Maru Aton, conosciuto anche come il tempio del sole (o più esattamente il tempio “Il Parasole di Ra”) della figlia Meritaton di Akhenaton, è l’unica altra struttura che ha qualcosa di simile a questo piano innovativo. Purtroppo il Maru Aton non esiste più, essendo stata inghiottito dai campi e dallo sviluppo urbano. Lo stesso destino attende purtroppo Kom el-Nana, a meno che non sia possibile intraprendere passi per salvare questa preziosa struttura.

Una foto aerea del sito che mostra il suo layout complessivo, che risale al 2012 quando rimaneva un tampone di deserto attorno a gran parte del complesso.
Una foto aerea del sito che mostra il suo layout complessivo, che risale al 2012 quando rimaneva un tampone di deserto attorno a gran parte del complesso.

Le iscrizioni provenienti dal sito di Kom el-Nana dimostrano che è il tempio “Il Parasole di Ra” della Regina Nefertiti. I Parasoli di Ra sono templi rari perché non tutti i re costruirono uno. I re che hanno costruito un Parasole di Ra ne hanno costruito solamente uno. Akhenaton ne costruì almeno quattro a Tell el-Amarna – e almeno uno pure a Menfi! Ognuna di queste strutture è stata dedicata a un membro della famiglia reale, anche la madre di Akhenaton, la regina Tiye, aveva il proprio Parasole di Ra. Anche se queste erano ovviamente importanti strutture per Akhenaton, una vera comprensione della loro funzione è stata persa a causa del fatto che non ne avevamo nessuno da studiare personalmente – fino a quando fu scavatp Kom el-Nana. Attualmente sto lavorando per ricostruire il rilievo e l’architettura dal sito e spero di riaprire il sito per il futuro scavo.

La testa di una principessa Amarna su un blocco a Kom el-Nana.
                            La testa di una principessa Amarna su un blocco a Kom el-Nana.

Il tempio di Nefertiti del Parasole di Ra a Kom el-Nana rivela la sua funzione generale e il ruolo svolto in particolare dalla regina Nefertiti. Il tempio servì come luogo per il rinnovamento divino del re e la rinascita quotidiana, portato dagli attributi di Nefertiti come un fertile supporto per la dea Hathor (la dea solenne della sessualità, della fertilità e della celebrazione). Le iscrizioni del tempio rivelano anche che ha svolto un ruolo importante nei culti mortuari dell’elite di Amarna – con i cortigiani morti che arrivano al Parasole di Ra di Nefertiti come spiriti per ottenere offerte che potessero sostenerli per l’eternità. Poiché le pratiche mortuarie atoniste sono ancora quasi sconosciute, questo è un pezzo prezioso per la conoscenza del re Akhenaton e l’Atonismo.

In breve, è chiaro che questo sito, il Parasole di Ra di Nefertiti a Kom el-Nana, è incredibilmente importante, rivelando non solo nuove informazioni sul ruolo di Nefertiti ma anche fornisce nuove indicazioni sulla vita mortuaria degli abitanti dell’elite della città. Tuttavia il tempio è direttamente a rischio dalla aumentata dalla moderna l’urbanizzazione intorno Tell el-Amarna nel suo complesso. I Saccheggi al Parasole sono aumentati drammaticamente.

La parete posteriore del complesso nel 2008 (sopra) e nel e 2017 (in basso), mostrano l'entità del recente degrado. Le rovine di mattoni di fango siedono come uno strato superficiale sulla superficie del deserto e sono facilmente distrutti.
La parete posteriore del complesso nel 2008 (sopra) e nel 2017 (in basso), mostrano l’entità del recente degrado. Le rovine di mattoni di fango siedono come si uno strato superficiale sulla superficie del deserto e sono facilmente distrutti.

Il Ministero delle Antichità è stato eroico nel suo sforzo per proteggere Komel-Nana, altrimenti isolato, ma senza un continuo impegno archeologico e finanziamenti aggiuntivi per preservarlo e consolidarlo, non saremo in grado di proteggere questo delicato sito.

Purtroppo questo è il caso di molte aree di Tell el-Amarna, e il Ministero non può e proteggerle tutte. Speriamo di raccogliere fondi per proteggere Kom el-Nana e svilupparlo ulteriormente, ma i finanziamenti per questo tipo di lavoro stanno diventando sempre più difficili da trovare. Si prega di considerare il supporto al Progetto Amarna con qualsiasi importo che potrai risparmiare e aiutarci a proteggere questo sito affinché possiamo continuare ad apprendere dalla suo notevole tesoro di segreti!

L'autore in visita a un sito nel 2017. Foto: EriKa Morey.
                              L’autrice in visita a un sito nel 2017. Foto: EriKa Morey.

Jacquelyn Williamson è un Assistente Professore nel Dipartimento di Storia e Storia dell’Arte presso l’Università George Mason. La sua monografia in due volumi, il Tempio del sole di Nefertiti: un nuovo complesso di culto a Tell el-Amarna è stata recentemente pubblicata come parte della serie di Egittologia di Harvard Brill.

Fonte: Amarna Project